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23/09/2025 ore 17.26
Opinioni

La psiche calabrese di fronte alle elezioni: l’affluenza alle urne come specchio di fiducia

Focus sul ruolo dei giovani nelle elezioni regionali in Calabria, tra disoccupazione, neet e migrazione, influenza la psicologia elettorale e le scelte di voto

di Alessandro Gaudio

C’è un gesto che, più di tanti sondaggi, racconta le emozioni politiche dei calabresi: il varcare (o non varcare) la soglia del seggio. L’atto del voto condensa aspettative e scetticismi, appartenenze e disincanti, memorie di famiglia e visioni di futuro. Osservarne i comportamenti negli ultimi appuntamenti elettorali e incrociarli con dati socio-economici certificati aiuta a capire come si forma, e come cambia, la psicologia politica in Calabria.

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Termometro emotivo: l’affluenza come specchio di fiducia (e di fatica)

Negli ultimi cicli elettorali, l’affluenza calabrese mostra una costante: la partecipazione oscilla su valori più bassi della media nazionale. Alle Europee dell’8-9 giugno 2024 ha votato il 40,31% degli aventi diritto, dato più basso d’Italia e in ulteriore calo rispetto alle Politiche del 2022, quando in Calabria si era recato alle urne il 50,74% (comunque molto sotto il 63,9% nazionale). Alle Regionali del 2021 la partecipazione si era fermata al 44,37%. Queste tre cifre, in sequenza, segnalano una dinamica psicologica precisa: nelle competizioni percepite come “lontane” (Europee) prevale l’astensione; nelle tornate a forte impatto identitario (Regionali) la spinta aumenta, ma non sfonda; nelle Politiche l’interesse risale, senza però riaccendere un coinvolgimento di massa. In controluce, la fiducia nello strumento elettorale appare intermittente, selettiva, spesso tattica. Questa “economia dell’attenzione civica” ha motivazioni pragmatiche e affettive. Pragmatiche: se gli esiti appaiono predeterminati o l’offerta politica è percepita come poco differenziata, il costo emotivo del voto sembra superare il beneficio atteso. Affettive: la distanza psicologica tra cittadino e istituzioni cresce quando le promesse di miglioramento quotidiano (lavoro, servizi, mobilità sociale) non si traducono in cambiamenti percepibili. La scelta di non votare, in questo quadro, non è sempre rassegnazione pura: è talvolta una forma di “autotutela emotiva” contro la delusione, un congelamento delle aspettative.

Contesto che orienta la mente: lavoro, giovani, mobilità forzata

Le coordinate socio-economiche contano, e molto, nella costruzione psichica del rapporto con la politica. Nel primo semestre del 2024, la Calabria ha registrato un tasso di disoccupazione del 15,4%, in lieve diminuzione ma ancora su valori elevati; l’aumento dell’occupazione si accompagna a un tasso di partecipazione stabile e a una popolazione in età lavorativa in calo. Questa triade – più occupazione, ma pochi attivi e base demografica che si restringe – genera un vissuto ambivalente: si percepisce un piccolo miglioramento, ma incorniciato da una tendenza di fondo che “sgonfia” l’orizzonte. È la condizione perfetta per un elettore prudente, selettivo, incline a pesare il voto sul piatto delle conseguenze immediate.

Il nodo giovanile è cruciale. Nel 2023 la quota di NEET (i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione) in Calabria è stata pari al 28,2%, oltre dieci punti sopra la media italiana. Non è un numero asettico: è una temperatura emotiva. L’inattività prolungata erode autostima e fiducia, scolorisce il senso di cittadinanza efficace, produce cicli di rinvio (“voterò quando…”, “deciderò se…”). Questa pressione si scarica su famiglia e reti amicali, ridisegnando le mappe dell’influenza interpersonale che in Calabria restano cardinali: la conversazione in piazza o al bar, la parola del parente “che ci capisce”, la micro-reputazione del candidato “che risponde al telefono”.

Poi c’è la mobilità, non sempre scelta. Le analisi SVIMEZ documentano un deflusso strutturale di capitale umano dal Mezzogiorno, con quasi 200 mila laureati che si sono trasferiti verso il Centro-Nord nell’ultimo decennio; indicazioni più recenti segnalano per la Calabria un saldo migratorio interno tra i peggiori dell’area (+Nord, –Sud), talvolta quantificato attorno a -5,2 per mille in rapporto alla popolazione. Quando la vita sembra “chiamare altrove”, il voto può diventare sia un rito d’addio (si sceglie chi “lascia qualcosa” prima di partire), sia un gesto sospeso (l’astensione di chi si sente già con un piede fuori). In entrambi i casi, la psiche elettorale si polarizza: o si vota “per il territorio” con forte impronta identitaria, o si scompare statisticamente dal corpo civico.

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Appartenenze e pragmatismo: il peso delle reti di prossimità

In Calabria il legame sociale – famiglia, parentela, vicinato – resta ancora un moltiplicatore psicologico potente. È dentro queste reti che si stabilisce il lessico di fiducia (o sfiducia) verso candidati e liste. Ma la mediazione comunitaria non implica automaticamente voto “di scambio”. Più spesso, è una valutazione reputazionale: ci si affida a chi ha storicamente “tenuto la parola” su un problema concreto (una strada, un ambulatorio, un servizio). La mente dell’elettore calabrese lavora molto per episodi (memorie di interventi risolutivi o di promesse mancate), più che per piattaforme ideologiche astratte. Questo spiega la volatilità selettiva: si cambia voto se cambia la percezione di affidabilità su dossier locali, anche a parità di simbolo.

In parallelo, l’identità territoriale alimenta una forma di orgoglio difensivo: si tende a premiare chi “conosce la Calabria”, chi la difende da stereotipi, chi promette visibilità e dignità. Ma l’orgoglio convive con un realismo ruvido: se le aspettative si fanno troppo alte, scatta la prudenza che spesso sfocia nell’astensione. È un doppio legame: bisogna parlare alla pancia civica dell’appartenenza e alla testa pragmatica del “cosa cambia domani mattina”.

Si decide davvero: cinque dinamiche psicologiche ricorrenti

a) Effetto prossimità. Un candidato percepito come vicino (geograficamente, socialmente) attiva neuroni della fiducia che la comunicazione a distanza non riesce a ingaggiare. La prossimità abbatte il costo cognitivo del voto: “so chi è, so come raggiungerlo”.

b) Bilancio costi/benefici emotivi. Le esperienze di frustrazione politica accumulata spingono a un calcolo prudente: voto solo se credo che l’esito impatti davvero servizi, lavoro, opportunità per i figli. Altrimenti proteggo la mia energia emotiva con l’astensione.

c) Ruolo dei giovani “mobili”. Chi studia o lavora fuori spesso mantiene un legame affettivo fortissimo, ma con orizzonte decisionale altrove. Questo produce due psiche elettorali diverse sotto lo stesso tetto: genitori “stayers” orientati alla cura del qui-e-ora, figli “movers” più attenti a temi nazionali/europei (diritti, clima, opportunità), meno catturabili da promesse iper-locali.

d) Memoria dei micro-risultati. In contesti a bassa fiducia sistemica, la memoria pubblica è cortissima, ma tagliente: ci si ricorda di un asilo aperto o di un pullman ripristinato più che di un capitolo di PNRR. Chi porta a casa risultati tangibili alimenta una spirale virtuosa di “posso fidarmi”.

e) Narrazioni concorrenti. La narrazione della Calabria “in difficoltà ma in ripartenza” (crescita moderata, disoccupazione in lenta discesa) convive con quella della “Calabria che perde giovani e peso demografico”. La psiche elettorale oscilla tra queste due storie; a prevalere e a guidare il voto è quella che, alla vigilia, suona più credibile alla luce delle esperienze personali.

Cosa dicono i numeri alla mente

I dati macro non determinano automaticamente il voto, ma lo incorniciano psicologicamente.

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Sguardo avanti: ricucire aspettative e realtà

La psiche del calabrese di fronte alle urne è, per così dire, razionale nella sua prudenza. Non è indifferenza, è richiesta di credibilità. Le evidenze ufficiali raccontano una regione che si muove lentamente: lavoro in leggerissimo miglioramento, ma base demografica erosa; giovani in stallo o in uscita; partecipazione civica intermittente. In questo quadro, la via d’uscita psicologica, prima che politica, sta nel riallineare orizzonti e tappe: meno promesse di svolte epiche, più contratti di realtà con scadenze ravvicinate e misure verificabili.

Se la campagna in corso saprà tradurre (non solo raccontare) il nesso tra Europa, Stato, Regione e i bisogni qui-e-ora (sanità territoriale, scuola, mobilità, lavoro giovanile, semplificazione), l’elettore calabrese, probabilmente, risponderà. Perché sotto la scorza del disincanto c’è un capitale emotivo ancora intatto: il desiderio che il voto conti. Solo quando quel desiderio incontrerà segnali credibili, la mano tornerà sulla scheda.