“L'esatta misura di noi stessi”: lo spazio dilatato della Calabria di Giuseppe Occhiato
Un autore in grado di descrivere lo spazio interiore usando modi e misure di quello esteriore. Ciò si può percepire leggendo alcune frasi tratte dalla prima parte della sua opera Lo sdiregno
In Calabria non è più nato uno scrittore come Giuseppe Occhiato, in grado di descrivere lo spazio interiore usando modi e misure di quello esteriore e facendo così in modo che il primo quasi continuasse nel secondo. A mo' di esempio si possono leggere alcune frasi, tutte tratte dalla prima parte de Lo sdiregno, rifacimento pubblicato da Rubbettino nel 2006 di Carasace, cronaca romanzata uscita nel 1989, e versione contratta del grande progetto letterario dell'intellettuale scomparso nel 2010, denominato Oga Magoga: “Ma il tempo ha ingigantito i ricordi, così come fa il polverio atmosferico con l'occhio umano, che lo inganna sfalsando la prospettiva e dilatando i contorni delle cose”, oppure “Ognuno si scavò una nicchia di rifugio nella propria angoscia” o, ancora, “Su Contura e sulla cintura degli orti provinchi pareva fosse stata rovesciata un'immensa saladda di sopore stagnante, un'abbacinante coperta di cenerazzo entro cui si dissolvevano attese e illusioni”.
Si vede bene come la scelta delle parole agisca sullo spessore del senso che l'autore nato a Mileto nel 1934 desidera accordare alla cronaca dei fatti: l'incursione di alcuni aerei americani su Vibo Valentia e sulle zone limitrofe il 16 luglio 1943 e il violento bombardamento che seguì.
Pur rispettandoli, l'eccentricità del tessuto linguistico espressionista di Occhiato fa sì che di essi se ne riesca a cogliere un più ampio respiro che rivela sorprendentemente “l'esatta misura di noi stessi”. L'esile trama dello Sdiregno acquista, nel prisma del linguaggio, una dimensione ulteriore che arriva a mostrare l'origine, il carattere composito, dello sguardo di chi osserva i fatti e poi li racconta in una “mescitanza quasi magarica fra presente e passato, con un rapporto intimo e misterioso per cui erano contemporaneamente presenti e assenti”.
Che sia proprio nella compresenza di passato e presente uno dei caratteri più peculiari della realtà meridiana? E non può essere che la percezione e il ricordo più familiari risiedano proprio nelle modalità così perturbanti preferite da Occhiato? E non è forse lungo questa strada che l'immagine del piccolo mondo calabrese, abbandonato, devastato e rimpianto, possa arrivare a restituire gli aspetti più accattivanti e reconditi di un sentimento universale?