L’ultimo ballo del Capitano (Salvini) sulla nave che affonda
Le elezioni in Germania hanno sancito un successo dell’ultradestra che diventa la seconda forza politica. Il ministro delle Infrastrutture di un Paese in bilico festeggia la vittoria di chi lo vorrebbe vedere sprofondare
di Francesco Vilotta
C’è una luce sporca sulle città d’Europa. Un’ombra che si allunga dalle periferie dimenticate, dalle campagne svuotate, dai capannoni abbandonati della modernità fallita. È la luce fioca di un’illusione che muore, di un’idea di mondo che si spegne nel riflesso di insegne al neon rotte, nei volti stanchi di chi ha creduto che il futuro fosse già scritto, e invece si ritrova a camminare sulle macerie del Novecento.
In questa luce vaga Matteo Salvini, come un saltimbanco stanco, come un attore di provincia che ripete sempre la stessa battuta su un palcoscenico che si sgretola. Esulta, con il suo ghigno finto trionfante, davanti al successo dell’Afd, i nuovi padroni di un'Europa che odia se stessa, che si vergogna delle sue cicatrici, che si veste di rancore come un mendicante con un cappotto di seconda mano.
“Brava Alice Weidel! Il cambiamento vince anche in Germania. Lotta all'immigrazione clandestina, stop alle eco-follie, pace e lavoro. Europa da cambiare radicalmente.”
Le parole rimbalzano, si consumano nello spazio digitale, si dissolvono come l’eco di un vecchio discorso di regime recitato davanti a una folla che ormai non ascolta più. Perché Salvini non sta parlando alla storia, non sta parlando alla realtà. Sta parlando alla sua stessa immagine riflessa, al personaggio che ha creato e che ormai lo possiede.
C’è un’ironia feroce in tutto questo: Salvini, il tribuno del "prima gli italiani", applaude chi vorrebbe tagliare ogni aiuto all’Italia, chi ci considera un peso, un problema, un fastidio. L’Afd non ha mai nascosto il suo disprezzo per i Paesi del Sud Europa, per questa penisola stanca e indebitata che ancora prova a restare a galla nel mare di un’economia che non perdona.
Ma Salvini non ci pensa. Non può pensarci. La realtà non gli serve. La sua esistenza politica non è altro che una giostra in cui le idee sono solo slogan, in cui gli alleati sono semplicemente figure di un circo mediatico da applaudire oggi e da dimenticare domani.
Così si crea il paradosso: il ministro delle Infrastrutture di un Paese in bilico festeggia la vittoria di chi lo vorrebbe vedere sprofondare. Un uomo che gioca con il destino dei suoi stessi concittadini, come un bambino annoiato che butta i dadi senza capire che il tavolo su cui gioca sta per crollare.
Salvini non è il primo della sua specie. È solo l’ultimo buffone di corte in un Paese che ha fatto del trasformismo un’arte e della propaganda una religione. Il suo è un potere fatto di selfie, di strilli da balcone, di citofoni suonati nei quartieri degradati alla ricerca di un nemico qualunque.
Ma il potere vero è un’altra cosa. Il potere vero è quello che oggi lo usa e domani lo scaricherà. È quello che ha già deciso che l’Italia sarà sacrificabile, che il Sud Europa sarà la nuova periferia del mondo, la riserva di mano d’opera a basso costo, il museo fatiscente di una civiltà che non riesce più a reinventarsi.
E mentre tutto questo accade, Salvini si affanna a cercare l’ultima provocazione, l’ultimo applauso di qualche follower avvelenato dalla rabbia, l’ultimo briciolo di visibilità in una commedia che sta arrivando alla fine.
Ma quando l’onda si ritirerà, quando il vento cambierà, che ne sarà di lui?
Si troverà, come tanti prima di lui, a guardarsi intorno con quello sguardo smarrito di chi credeva di essere un gigante e si riscopre solo un relitto sulla riva, un rottame del tempo, uno dei tanti nomi che la storia dimentica.
Perché la storia non fa sconti. E il potere, quello vero, non ha mai avuto bisogno di gente come lui.