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26/05/2025 ore 13.08
Opinioni

Napoli 4 Gaza: il genio, la gioia, la rivolta

Tra la festa per lo scudetto e il dolore per la Palestina, Napoli inventa un nuovo linguaggio: uno striscione, una visione, un gesto che sfida la censura e accende la coscienza

di Francesco Vilotta

Napoli non è una città. È un miracolo irrisolto. È un luogo dove il dolore non si cancella ma si canta. Dove la gioia non è evasione, ma resistenza. Dove la libertà non è un diritto scritto, ma un gesto, un lampo, un’invenzione collettiva. E quando Napoli vince – vince davvero – lo fa per tutti. Anche per chi perde altrove.

È accaduto ora, ancora una volta. Contrariamente a quanto fatto dal Parlamento italiano, il Consiglio comunale napoletano ha votato per il riconoscimento della Palestina come Stato libero e sovrano. Un gesto simbolico, dicono. Ma i simboli sono ciò che resta quando la verità viene negata, quando le macerie si moltiplicano, quando i morti non hanno più nome. Napoli ha scelto, come sempre, di stare con chi non ha voce. Di stare con l’umano.

Eppure, la verità più potente, più viva, più folgorante non è arrivata da un’aula istituzionale. È arrivata dalla strada. Dalla curva. Dal popolo.

Venerdì 23 maggio, Napoli ha vinto il suo quarto scudetto. Non solo un trionfo sportivo. Un’esplosione mistica. Come nel 2023, come nel 1987 e nel 1990. Come quando c’era Maradona: dio e dannato, uomo e simbolo, peccato e riscatto. Napoli è tornata a volare. E quando Napoli vola, il mondo trema.

È stato allora che il genio ha fatto irruzione. Uno striscione, apparso tra mille, con i colori della bandiera italiana: verde, bianco, rosso. La scritta “Napoli”, il numero 4. Tutto sembrava normale, tutto sembrava festa. Ma dentro quel tricolore, si celava il nero. E sotto il numero 4, si nascondeva una parola: Gaza. Napoli 4 Gaza (Napoli for Gaza). Non era un errore. Era un capolavoro.

Quel gesto è l’esatta definizione del genio partenopeo. Ha eluso i controlli, dribblato la censura che aveva già colpito strade, piazze, balconi, e persino il Giro d’Italia. Ha aggirato la repressione simbolica. E lo ha fatto con grazia, con arte, con astuzia. Come faceva Maradona in campo, tra i tackle avversari. Una finta. Un lampo. Un colpo di teatro. E all’improvviso, tutto il mondo ha visto.

Quel numero “4” diceva due cose in una sola lingua: la gioia di uno scudetto, la solidarietà per una strage. Un urlo di felicità e un grido di dolore. Insieme. Senza retorica. Senza permessi. Senza chiedere scusa. Senza chiedere permesso. Solo Napoli può farlo. Solo Napoli sa farlo.

Non è solo uno striscione. È un manifesto. È poesia civile. È arte politica. È il corpo di una città che non si rassegna all’ordine imposto, che non china il capo di fronte all’ingiustizia. In un’epoca in cui tutto viene neutralizzato, Napoli trasforma la censura in occasione creativa. È la città dove anche l’illegalità diventa legalità dell’anima.

Non a caso, proprio qui si prepara una manifestazione per Gaza. Corpi a terra sul Lungomare per ricordare i corpi veri, quelli che non vediamo, quelli che non contano. Luigi de Magistris lo ha detto con parole semplici: oggi, rispetto al Novecento, le immagini girano. E allora facciamole girare. Facciamo che anche Napoli diventi Gaza. Per un giorno. Per sempre.

Perché Napoli è la città che si è liberata da sola dal nazifascismo. È la città dove i bambini sanno cos’è la guerra anche se non l’hanno mai letta sui libri. È la città che non dimentica. E che non tollera che si dimentichi.

Nel silenzio imbarazzato delle istituzioni, nel balletto delle astensioni, tra banchi vuoti e parole smorte, Napoli alza la voce. Con le sue mani, con le sue strade, con la sua arte, con la sua fede. Perché sì, Napoli ha fede. Non in Dio, non nelle leggi. Ma nell’umano.

E allora non stupisce che abbia saputo dirlo così: con una festa, con uno scudetto, con un numero e una parola. Napoli 4 Gaza (Napoli for Gaza). È un’equazione poetica. È un atto di coraggio che nessuna commissione d’ordine pubblico potrà mai disinnescare.

Questa non è una città. È una rivelazione.