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21/02/2025 ore 14.52
Opinioni

Quale restanza? La lontanissima Calabria di Antonio Renda

Uno scatto in una casa disabitata di Roghudi Vecchio mostra da un lato l’evidente stato di degrado, dall’altro il rispetto e la cura alla vita dell’individuo e della comunità ormai dimenticata 

di Alessandro Gaudio

La foto riprodotta qui sopra, scattata in una casa disabitata di Roghudi Vecchio sull'Amendolea nell'area grecanica calabrese, è di Antonio Renda, fotografo di grandissimo talento (del quale questa testata si è già occupata qui e qui in passato) che vive e opera a Tiriolo nel catanzarese.

Essa mostra plasticamente un aspetto della Calabria e dei calabresi, avendo il pregio di sottolinearne contemporaneamente tanto l'evidenza esteriore, il modo in cui appare a tanti osservatori e viene da essi interpretato, quanto il carattere interiore, quella sua deriva psicologica implicita di cui, invece, non tutti sono consapevoli. A ben guardare, infatti, se da un lato risulta evidente lo stato di degrado di un luogo e la prospettiva di abbandono cui è inesorabilmente destinato, dall'altro, grazie alla sensibilità di un fotografo che fa dello studio e del mestiere i suoi punti di forza, emerge una distanza che separa quel luogo da una disposizione alla cura, al rispetto, alla vita dell'individuo e della comunità, ormai dimenticata, forse irrimediabilmente perduta.

A Renda interessano entrambi i versanti di quella che può essere definita una vera e propria questione calabrese e che, oltre ai risaputi fattori economici e sociali, riguarda la coscienza stessa delle persone. L'individuo, anche quando decide di restare e pur mantenendo un atteggiamento propositivo, di fatto si allontana dalla comunità, dal senso di quella calabresità ormai annacquata, addirittura manipolata e, dunque, fraintesa dai più. Insomma, in Calabria le comunità e i luoghi sono lontani anche per coloro che comunque restano e lontanissima da essi si muove la civiltà con la quale sono stati sostituiti. Il legame con le origini e la tradizione risulta reciso due volte: dai tanti che sono andati via e che continuano a farlo, restandone di fatto divisi, e dai pochi che scelgono di restare o sono costretti a farlo, ma che certamente non sono più vicini.

Alla luce di queste considerazioni e di un archivio nel quale Renda conserva migliaia di fotografie come questa (quanto sarebbe importante avere l'opportunità di aprirlo al pubblico?), sarebbe necessario ripensare i termini della nostra cittadinanza, magari tarare nuovamente alcune parole chiave, quali “impegno”, “comunità” e anche “restanza”, in modo che si possa recuperare, finalmente con esattezza e onestà intellettuale, la possibilità di abitare davvero una regione ormai lontanissima dalle nostre coscienze, disabitata e desertificata anche per colpa dell'ipocrisia di definizioni che ne coprono soltanto la parte più commerciabile.