Riace, l’utopia possibile: quando l’accoglienza ridà vita ai paesi che scompaiono
Dal modello Mimmo Lucano alla legge calabrese del 2009, il valore simbolico di un’accoglienza torna oggi al centro del dibattito europeo: in programma mercoledì 19 novembre a Bruxelles un momento di riflessione sulle politiche migratorie dell’Unione Europea, presente anche il sindaco di Riace
Il prossimo 19 novembre Mimmo Lucano ed il gruppo The Left organizzano in Parlamento europeo un momento di riflessione e confronto attorno alle attuali politiche migratorie dell’Unione e verso la prospettiva di una diversa politica dell’accoglienza. Al confronto sono stato invitato anch’io. La volontà è quella di portare nell’agenda europea lo spirito e le pratiche previste dalla legge regionale della Calabria 18 del 12 giugno 2009, dal titolo “Accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati e sviluppo sociale, economico e culturale delle Comunità locali”. Una normativa di pochi articoli, che introduce il principio dell’accoglienza come convenienza: finanziamenti per quei borghi affetti da forte spopolamento che offrono ospitalità ai rifugiati.
Alla legge aveva a suo tempo lavorato, su invito del sottoscritto e della giunta regionale che presiedevo, anche Gianfranco Schiavone. Dopo l’approvazione della giunta, avevo fatto inserire il testo di legge all’ordine del giorno del Consiglio regionale. Nel presentarlo ho tenuto un breve discorso rivolto soprattutto all’opposizione a cui mi sono limitato a ricordare che all’epoca il 40 per cento delle famiglie calabresi aveva dei conti aperti con il dolente fenomeno dell’emigrazione. La legge fu in pochi minuti approvata all’unanimità.
Un evento politico che non si era mai verificato prima. Il tema dell’emigrazione aveva evidentemente risvegliato antiche memorie a lungo sopite. Non m’illudo che i calabresi ricordino vicende politiche di quegli anni ormai lontani. Mi permetto di richiamarle alla memoria perché questa vicenda istituzionale europea, potrebbe assumere un valore simbolicamente rilevante per tante regioni. Specie in questa fase storica in cui spopolamento e denatalità hanno assunto un ritmo vertiginoso, destinato a cambiare in forma radicale l’assetto secolare del nostro territorio.
Il famoso antropologo calabrese, Vito Teti, è arrivato ad affermare in un suo recente saggio che nel giro di soli cinque anni mille paesini delle zone interne del nostro Mezzogiorno spariranno. Non esisteranno più. Anche per questo motivo quello che sul piano dell’accoglienza Mimmo Lucano ha realizzato in anni lontani nella sua Riace, rappresenta una realtà generosa e lungimirante. Un’operazione ormai sempre più rara sulla scena del mondo.
Lucano aveva cominciato, fin dal 1998 a recuperare i sopravvissuti di un malandato veliero carico di curdi, scaraventato dalla violenza del mare sulla spiaggia di Riace. Aveva accolto, insieme all’arcivescovo di Locri, Monsignor Giancarlo Maria Bregantini, questa umanità disperata, l’aveva rifocillata e le aveva procurato un posto per dormire.
Aveva in prevalenza utilizzato case abbandonate appartenenti ad emigrati del posto, partiti molti anni prima per le Americhe conservando nel cuore lo stesso sentimento avvertito in quei giorni dai curdi su di una spiaggia sconosciuta. Le trame di certi amari destini quasi sempre, per vie misteriose s’incrociano. Orazio, questo sentimento, lo aveva immortalato circa duemila anni fa in versi struggenti: “Chi attraversa il mare cambia il cielo non l’anima”
Da presidente della regione, dell’evento dei curdi, non avevo saputo nulla. Me ne parlò mia figlia Valentina che aveva più di una volta visitato la Riace di Lucano raccontandone meraviglie. Un posto, dove persone provenienti da diversi paesi del mondo devastati da guerre e carestie, avevano trovato rifugio vivendo in armonia con gli abitanti del luogo.
Divorato dalla curiosità intraprendo qualche giorno dopo il viaggio per Riace. Il sindaco mi accoglie con la fascia tricolore alle porte del paese. Via via che ci addentriamo nel borgo, mi si para dinanzi un mondo nuovo. Ragazzi del luogo giocano con ragazzi di diverse nazionalità. Bambini afgani, curdi, pakistani, somali, eritrei parlano con forte accento calabrese. Trasecolo. Alcune bambine aiutano le proprie mamme nelle botteghe artigiane. M’imbatto in vecchi telai che avevo visto durante l’infanzia nelle case del mio paese. All’interno del borgo lavorano in varie attività 100 persone straniere, una cifra non irrilevante per un paesino di 1700 anime. La comunità del luogo si avvale di un sistema di smaltimento dei rifiuti che sembra, con i suoi asinelli, appartenere ad un’epoca lontana.
Una piccola “Città del Sole” il cui autore è nato alcuni secoli fa ad un tiro di schioppo da qui. In questo posto trascorro due ore importanti della mia vita. Sulla via del ritorno, ancora un po’ emotivamente coinvolto e rammaricato da questa scoperta tardiva, decido che mi occuperò di questo paese e di questo sindaco sognatore, che non è il solo in Calabria a dedicarsi al destino di questi “zero del mondo”. Penso lì per lì che la più grande delle ingiustizie del nostro tempo, che l’Occidente benestante interpreta come un privilegio dovuto, è offerta dal luogo di nascita.
Il più casuale degli eventi. Immagino che Lucano, la sua appassionata predisposizione all’ospitalità, l’abbia attinta da una tradizione millenaria trasmessa dal mondo greco e ancora viva in molte comunità calabresi. Una tradizione che considera sacra la figura del viandante che bussa inatteso alla tua porta. “2500 anni fa Tucidide fa dire a Pericle in La guerra del Peloponneso: “La nostra città è aperta al mondo. Noi non cacciamo mai uno straniero”.
L’accoglienza è dunque un rito greco che il cristianesimo ha successivamente trasformato in precetto: “ero forestiero e m’avete accolto” recita il Vangelo di Matteo. In questo paese sono riuscito con un vero colpo di fortuna, quando ero ancora presidente della regione, a condurre Wim Wenders, il grande regista ed intellettuale tedesco.
Ero sicuro che il personaggio, per come l’avevo conosciuto attraverso i suoi film e i suoi scritti, si sarebbe innamorato di quel sindaco visionario e di tutti quei bimbi stranieri che gli zampillavano intorno. Pensavo che l’immagine della Calabria così bistrattata dai media in quegli anni ne avrebbe tratto giovamento.
Wim Wenders era sulle prime riluttante a venire a Riace. Il suo programma di pochi giorni aveva come scopo di sperimentare nel territorio le riprese in 3D, non gli restava tempo per Riace. Ma, come ho appena scritto, fui fortunato. Il grande regista, roso dalla curiosità che è la virtù prevalente degli artisti, a sorpresa cambiò programma. Un ruolo chiave lo aveva giocato un bimbo afgano che viveva nella comunità di Riace. Riuscì senza alcuna timidezza a spiegargli il miracolo che il suo sindaco stava compiendo nel piccolo paese della Locride. Il giorno dopo Wenders piombò a Riace. L’innamoramento fu di quelli a prima vista. Visitò il borgo per un giorno e tornò durante le feste di Natale. Girò lì buona parte del cortometraggio “Il Volo”, che la regione cofinanziò. Per qualche giorno trasformò certe storiacce calabresi in una fiaba.
Quando Lucano anni dopo fu arrestato e condannato, “anche se trovato senza un euro addosso”, come recita la sentenza di primo grado, Wim Wenders disse una frase lapidaria che sui media ebbe maggior risalto della sentenza stessa: ”La prossima volta che vengo in Italia mi aspetto di vedere in galera Papa Francesco”.
Concludendo, per un bel po’ persi di vista il grande regista. Lo incontrai nel 2009 a Berlino, la sua città. Quell’anno toccava alla regione Calabria ed al comune di Roma, guidato da Veltroni, occuparsi della manifestazione annuale dei premi Nobel per la pace che si teneva nella capitale tedesca. Il copione prevedeva che dopo i miei saluti e quelli di Veltroni toccasse a Wim Wenders dare a Gorbaciov e a tutti gli altri.
Il benvenuto della sua città. Ricordo a memoria alcune cose che disse in quella occasione. “Noi qui festeggiamo la caduta del Muro. Ne sono felice. Per me, abitante di questa città, quel Muro fu una sofferenza senza fine. La presenza qui del Presidente della Calabria mi suggerisce però di ricordarvi che la vera utopia degli anni a venire non sarà costituita solo dagli abbattimenti dei Muri ma da quello che sta avvenendo in alcuni paesinidella Calabria, Riace in testa.
Il suo intrepido sindaco infatti, muovendosi controvento, accoglie nella sua comunità i disperati della terra, e attraverso quella legge regionale della Calabria tenta di procurare loro un lavoro utile per il loro sostentamento ma anche indispensabile al territorio che abitano. Per me quelle parole rappresentarono l’emozione più intensa di quegli anni ormai lontani.