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02/07/2025 ore 08.22
Opinioni

“Sulla tua bocca lo dirò”, Mina canta il melodramma e lo rende eterno

Regina indiscussa del pop, con questo disco ha osato entrare nel tempio austero e sacro della musica lirica riuscendo là dove molti fallirebbero e dimostrando che la sua voce può tutto

di Ernesto Mastroianni

La voce di Mina non imita la lirica: la accoglie, la accarezza, la rende umana. Non è la voce di un soprano d’opera, ma qualcosa di più raro.

Quando Mina ha deciso di affrontare l'opera lirica, molti avranno trattenuto il respiro. Altri avranno storto il muso. Perché lei, regina indiscussa del pop, dell’eleganza vocale, della modernità senza tempo, ha osato entrare nel tempio austero e sacro della musica colta.

Ma lei l’ha fatto alla sua maniera: senza forzature, con l’autenticità di chi non recita, ma sente profondamente. "Sulla tua bocca lo dirò" è un disco che non si ascolta soltanto: si attraversa, come un bosco in penombra dove ogni nota è una foglia che cade, lenta, sul cuore. Mina incanta tutte le creature del bosco; del mondo. Il suo è un canto che scivola tra le lacrime dell'opera lirica.

Il cuore pulsante del disco è "La Bohème" e le arie pucciniane, in particolare "Sì. Mi chiamano Mimì" (con la quale apre il disco) e "Sono andati?"(con la quale chiude il disco), sono vertici assoluti di delicatezza emotiva. Mina non interpreta il ruolo di Mimì: lo sussurra. Le parole non vengono pronunciate per stupire, ma per custodire un dolore antico, un amore che sfuma come nebbia al mattino. La sua voce non cerca la proiezione drammatica del soprano, ma si rifugia nella malinconia delle sfumature. Sembra più interessata al respiro tra una parola e l’altra che al virtuosismo. E lì, in quelle pause sospese, c’è tutta l’anima dell’opera.

Ed è dove i tradizionalisti dell'opera hanno storto il muso che poi si sono ricreduti. Mina è una cantante leggera, che può cantare di tutto. E lo ha sempre dimostrato.

In "Sono andati?", che chiude tragicamente La Bohème, Mina si muove su una linea di voce quasi evanescente. Non c’è pianto, ma un’eco stanca del dolore. Mimì non muore nel canto di Mina: si dissolve. Quella dissolvenza è più struggente di qualsiasi canto.

Tecnicamente, la sfida è notevole. Le melodie di Puccini, con la loro ricchezza armonica e le modulazioni emotive, richiedono attenzione, controllo del fiato, controllo della voce, massima espressività e rispetto assoluto per il fraseggio. Mina riesce là dove molti fallirebbero: entra in punta di piedi e ne esce lasciando una traccia incancellabile. Non forza mai i limiti della sua vocalità, ma li piega con sapienza al servizio dell’emozione.

Il disco, però, non è solo omaggio alla "Bohème". Ci sono brani come "Canzone appassionata", "Malìa", "Musica proibita", classici del 'belcanto da salotto' che trovano nella voce di Mina nuova linfa, un calore umano che rende questi brani, spesso legati a un immaginario antiquato, improvvisamente vivi. C'è la sensualità triste di una voce che ha amato, che ha perso, che ricorda, che canta.

In "Sulla tua bocca lo dirò", Mina canta come se non avesse nulla da dimostrare, ma tutto da condividere. Ogni nota è una confidenza. Ogni vibrato un sospiro trattenuto. Non serve la scena di un teatro, non servono costumi: la sua voce basta a evocare notti d’inverno, soffitte parigine, lettere d’amore mai spedite.

Ascoltare questo disco è come camminare su un filo sottile, tra il passato glorioso dell’opera e il presente intimo della canzone d’autore. È un gesto di coraggio e di tenerezza. È il canto di una donna che, pur non essendo una cantante lirica, riesce a toccare il cuore della lirica stessa. E lo fa con un pudore che commuove.

Mina Mazzini, come sempre, non urla. Ma dice. E lo fa con una grazia antica, che oggi è rarissima. In quel dire, in quella voce che conosce il silenzio, ci ritroviamo noi, piccoli e commossi, davanti a un’arte che ci supera.

La voce di Mina non imita la lirica: la accoglie, la accarezza, la rende umana. Non è la voce di un soprano d’opera, ma qualcosa di più raro: è la voce di un’anima che canta. Con l’umiltà di chi sa di entrare nel tempio della musica, e l’audacia di chi ha il diritto di restarvi. Mina attraversa Puccini, Tosti, Mascagni non con la forza del virtuosismo, ma con il peso leggero dell’emozione sincera.

Nel suo timbro c’è tutto: la malinconia del tempo, il calore di un amore perduto, il pudore di una preghiera... mai pronunciata. È la voce di chi ha amato, tanto, fino all'ultima nota.

La sua voce non sfida la lirica, ma la riporta a casa, nella voce della gente. In quel canto c’è una verità antica: basta essere sinceri per essere straordinari. E Mina lo è, fino al silenzio dopo l’ultima nota.