Una chanson de geste nella fogna: la Parigi di Pietro Lazzaro
Lo scrittore calabrese, non tra i più noti ma certamente tra quelli più degni di essere ricordati, nel suo romanzo La stagione del basilisco immagina che la città francese compendi tutto l’universo
Pietro Lazzaro, non tra i più noti scrittori calabresi ma certamente tra quelli più degni di essere ricordati, immagina che Parigi, città in cui saltuariamente si trovò a vivere, compendi tutto l'universo, così come la mente di un Imperatore i moti di tutte le altre menti. Ecco, allora, che La stagione del basilisco, bellissimo romanzo dato alle stampe nel 1968 e scritto tra l'autunno del '66 e l'inverno del '67, si popola di una serie di figure associate le une alle altre da una logica quasi mai perfettamente binaria, animando uno spazio che si può definire in termini di inconscio collettivo o, ma è quasi la medesima cosa, di fogna.
È qui che l'oste, il pittore del transfinito, la greca, il cameriere di origini calabresi, la ragazza di Lyon, l'ornitologo, la bambina negra, lo zoppo, il mongoloide e tanti altri personaggi danno vita a una chanson de geste, rovesciata sistematicamente dalla graffiante ironia dell'autore. Le loro interazioni e le conversazioni che le accompagnano, piene di allucinazioni e di sogni e improntate su un presente transfinito, assurdo, perenne, incapace di riflettere su sé stesso, fanno sì che su Parigi cada una continua pioggia di merda. L'oscurità della fogna raccoglie le parole e i pensieri, rappresentazione di un'esistenza fatta di perpetue corrispondenze e di inediti parallelismi, di termini ricorrenti e di inaspettate e mostruose similitudini e associazioni di idee, tenute insieme in quello che Lazzaro definisce l'imbroglio generale, all'interno del quale ogni immagine introduce un trucco che occupa la prigione identitaria di ciascuno: «Libertà, forse, – aveva detto la greca nelle prime battute del romanzo – è chiamare grattacielo un grattacielo; sapere che somiglia solo a se stesso; rifiutarsi di paragonarlo ad altri grattacieli...».
Eppure, Parigi è una fogna, un mondo di plastica in cui ogni dialogo diventa una frode, «un miserabile tentativo di uscire da se stessi per fare un po' di commercio». Di tanto in tanto, però, la metrica di questo polifonico labirinto è squarciata da un'esplosione, da un vento improvviso che riporta immagini di vicende lontane che scalfiscono per un momento l'asfittico silenzio della fogna. Tuttavia, la crepa è troppo irrilevante e non riesce a impedire che la truffa delle immagini ricominci, che Parigi, ossia la Storia, riprenda il sopravvento, riconducendo ancora alla vacua letteralità delle figure che quotidianamente la popolano il suo unico senso.