Beppe Grillo, il profeta che si è perso: dal Vaffa Day ai 300mila euro l’anno del Movimento 5 Stelle
Una rivoluzione sfiorita: il comico genovese che voleva aprire il Parlamento è diventato simbolo del potere che voleva combattere. Intanto Conte prende la guida e il M5S cerca ancora se stesso
C’era una volta un comico genovese che riempiva le piazze, tuonava contro il potere e sognava di rovesciare il Parlamento “come una scatoletta di tonno”. Aveva parole incandescenti e un seguito di milioni di italiani stanchi, arrabbiati, delusi. Era Beppe Grillo, e con lui nacque il Movimento 5 Stelle: un’idea, più che un partito. Un’utopia travestita da rivoluzione digitale. Oggi, a quindici anni dalla fondazione, quella rivoluzione è sfiorita. E Grillo, il profeta irriverente, appare sempre più come un’ombra laterale, sopravvissuto a se stesso ma prigioniero delle sue contraddizioni.
Il predicatore che si fece sistema
Grillo è stato un fenomeno unico nella storia politica italiana: né leader né candidato, ma catalizzatore di consensi, rabbie, istanze morali. Ha saputo coniugare satira e militanza, costruendo un movimento che si è presentato come “né di destra né di sinistra”, ma che ha scardinato il sistema con strumenti tipici del populismo: antielitismo, retorica anti-casta, piattaforme digitali, democrazia diretta.
Con l’ingresso del M5S in Parlamento nel 2013 e il trionfo elettorale del 2018 (32% dei voti), la creatura di Grillo è diventata forza di governo. E lì ha cominciato a consumarsi la frattura tra il “grillismo originario” e la gestione reale del potere. Il movimento che doveva abolire i partiti è diventato un partito. Quello che doveva tagliare gli stipendi ha distribuito poltrone. E Grillo, che predicava la purezza, è finito invischiato nei compromessi della macchina politica.
Il Grillo francescano da 300 mila euro
Negli ultimi anni, la figura di Grillo ha oscillato tra ascetismo verbale e ritorni improvvisi, sempre sopra le righe. In pubblico si è ritratto nei panni del “garante”, dell’ideologo in esilio, ma dietro le quinte ha continuato a esercitare un potere informale. Anche ben remunerato: nel 2021, si scoprì che Grillo riceveva 300 mila euro l’anno per consulenze di comunicazione al Movimento. Una cifra che strideva con l’immagine del “Grillo francescano”, del moralista fuori dagli schemi, dell’uomo che voleva liberare l’Italia dai privilegi.
Quel contratto divenne simbolo di una trasformazione irreversibile: da predicatore a beneficiario. Da outsider a figura sistemica. E se i suoi interventi continuavano a infiammare – come quando, difendendo il figlio accusato di stupro, accusò i media e lanciò accuse contro la giustizia – il carisma si era già incrinato. Grillo non era più guida, ma zavorra.
Conte, l’abile sopravvissuto
In questo vuoto, è emersa la figura di Giuseppe Conte, premier “per caso” nel 2018, poi traghettatore del Paese nella pandemia, infine leader di un M5S mutato geneticamente. Conte ha svuotato Grillo di potere reale, mantenendone il rispetto formale ma accentrando su di sé la leadership. Ha ridisegnato il Movimento a sua immagine: più moderato, più istituzionale, più vicino a certi temi sociali, salario minimo, difesa del reddito, ambientalismo, ma anche più statico, meno incendiario.
Conte non è carismatico nel senso classico, ma è abile, capace di adattarsi, di sopravvivere, di spostarsi tra alleanze e rotture. Ha traghettato il M5S dall’alleanza con Salvini a quella con il PD, e poi a un’opposizione “costruttiva” al governo Meloni. Un equilibrismo che gli ha consentito di restare al centro della scena, ma che rischia di rendere il Movimento una forza senza direzione, prigioniera delle sue stesse ambiguità.
Quale futuro per il Movimento?
Il M5S oggi è una creatura in cerca d’identità. Non è più anti-sistema, ma non è nemmeno parte integrata del sistema. Ha perso buona parte del suo elettorato originario, attratto prima da Salvini, poi da Meloni. E sebbene mantenga un nucleo di consenso (tra il 10% e il 15%), fatica a esprimere una visione chiara dell’Italia e del mondo. I temi ci sono, giustizia sociale, ecologia, diritti, ma manca l’energia fondativa, la narrazione forte, la mobilitazione popolare.
Grillo, dal canto suo, appare stanco. Appare ogni tanto con un post, un video, una provocazione. Ma non detta più la linea, non traccia più orizzonti. Il suo tempo sembra essersi concluso nel momento in cui il Movimento ha deciso di diventare adulto. Ma un Movimento che invecchia senza rinnovarsi rischia di sparire.
Un’utopia svanita?
La storia di Beppe Grillo è anche la storia di una grande illusione italiana. L’idea che si potesse cambiare tutto senza sporcarsi le mani. Che la rete potesse sostituire le sezioni. Che i cittadini, da soli, potessero fare meglio dei professionisti. Che bastasse la rabbia per governare.
Oggi quell’illusione si è consumata. Ma ha lasciato un’eredità, nel bene e nel male. Ha rotto i vecchi equilibri, ha aperto nuove possibilità, ha mostrato le crepe del sistema. Ora però serve altro. Un pensiero lungo, una visione. E forse, una nuova generazione capace di andare oltre Grillo, senza rinnegarlo ma senza più dipenderne.
Perché i profeti, quando restano troppo a lungo, rischiano di diventare statue. E le statue, si sa, non camminano.