Da castigatore a castigato: il Paese contro Brunetta dopo l’aumento di stipendio da presidente del Cnel
Mentre milioni di lavoratori si accontentano di 1.200 euro al mese, chi predicava sobrietà e rigore si è ritagliato il suo privilegio e oggi attacca tutti, ma non sente il grido di dolore di chi lotta contro le miserie quotidiane
Da ministro, Renato Brunetta tuonava continuamente contro i «fannulloni del pubblico impiego» e i «dipendenti imboscati», pontificando su rigore e sprechi.
Oggi, da presidente del Cnel – un ente che nessuno sa davvero a cosa serva, e che lui stesso aveva definito «un peso inutile» – si è concesso un aumento di stipendio da 250mila a 311mila euro, con tanto di effetto retroattivo.
Brunetta si è così portato allo stesso livello retributivo del primo presidente della Corte di Cassazione, che certo anche lui non naviga in cattive acque rispetto a un Paese che soffre sempre di più.
Ma non è finita: al Cnel tutti devono stare bene. Era infatti previsto un incremento di circa 100mila euro anche per consiglieri e staff.
Semplicemente scandaloso.
Aveva organizzato tutto in gran silenzio, ma questo sfacciato aumento è apparso subito come un insulto al Paese, alle famiglie, ai giovani, schiacciati da un’economia stagnante e da salari fermi da decenni.
La decisione ha scatenato un putiferio. All’attacco le opposizioni, mentre da Palazzo Chigi, dopo un iniziale imbarazzato silenzio, è filtrata l’«irritazione» di Giorgia Meloni.
Tradotto: una figuraccia inaccettabile che il governo avrebbe dovuto respingere immediatamente con durezza.
Brunetta resta il più insopportabile dei moralizzatori a doppio senso: da ministro e parlamentare ha attaccato i dipendenti pubblici, si è schierato ferocemente contro il salario minimo, per poi trasformarsi nel primo beneficiario di ingiustificabili privilegi.
Solo dopo una vera e propria sollevazione popolare ha fatto un passo indietro, revocando «con effetto immediato» l’aumento.
Ma il danno è fatto: il professore del rigore è ormai il simbolo dell’ipocrisia, incapace di capire le difficoltà reali di milioni di italiani costretti ogni giorno a stringere la cinghia.
È grottesco vedere il paladino della «rivoluzione meritocratica» difendersi con ridicole giustificazioni sul suo stipendio. Il Cnel si conferma così per quello che è: un organismo inutile, trasformato nel tempio di un potere autoreferenziale che resiste senza vergogna.
Mentre milioni di lavoratori si accontentano di 1.200 euro al mese, chi predicava sobrietà e rigore si è ritagliato un mega-aumento del suo già mega-stipendio.
Brunetta oggi è avvelenato e attacca tutti, ma non sente il grido di dolore che sale dalle famiglie e dai lavoratori che lottano contro la miseria dei loro stipendi mensili.