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19/09/2025 ore 12.05
Politica

Funaro (Avs): «Nella campagna elettorale c’è un convitato di pietra, la ‘ndrangheta. Ma parlarne è un atto dovuto»

La candidata al Consiglio regionale punta il dito contro una «pericolosissima tendenza a sorvolare sull’argomento». E rimarca: «Non basta la repressione, servono lavoro, cultura e denuncia»

di Redazione Politica

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Maria Pia Funaro, candidata al Consiglio regionale per Avs nella circoscrizione Nord.

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Gentile direttore,

mi sembra che in questa campagna elettorale per le Regionali 2025 in Calabria ci sia un convitato di pietra. Un convitato di cui tutti stanno accuratamente evitando di parlare, magari per non scivolare su un terreno insidioso. Il convitato di pietra si chiama ‘ndrangheta, la più feroce e spietata associazione criminale del mondo, che nel tempo ha saputo riciclarsi, conseguire lauree e master, infiltrarsi in politica e nei consigli d’amministrazione. Non lo sostengo io, lo certificano decine di sentenze passate in giudicato. Lo certifica la storia di questa terra.

Ho colto una pericolosissima tendenza, già a dire il vero registrata altrove: sorvolare sull’argomento. E, se proprio si è costretti, sminuirne la portata. Del resto, l’alleato di ferro della cultura mafiosa è sempre stato il silenzio, il cambiare discorso, il ridimensionare, il rimuovere per poi ribaltare la situazione tacciando di infamità chi invece denuncia. La ‘ndrangheta, come “cosa nostra” o la camorra, viene sempre preceduta dalla mafia delle parole. Da una minaccia, talvolta velata, ma tagliente come un bisturi.

Non si può ignorare il lavoro quotidiano di chi vive in trincea giorno dopo giorno. Parlare di ‘ndrangheta, e combattere retaggi mafiosi e retrogradi che contaminano il territorio, è a mio avviso un atto dovuto verso magistrati, forze dell’ordine, associazioni, professionisti e liberi cittadini. Noi lo facciamo marcando una netta distanza dalla retorica giustizialista, estranea alla mia cultura cattolica e fermamente garantista: vogliamo per tutti sempre maggiori diritti, nel rispetto del prossimo. E questo è un atto d’amore per la nostra terra, un atto dovuto dal punto di vista morale, certo, ma anche etico, perché le mafie per allargare le fila e il consenso pescano nelle fasce deboli della popolazione.

E questo punto si annoda, tristemente, a quanto la nostra coalizione sente di voler realizzare. Secondo Eurostat, il 48,6% dei nostri corregionali vive una situazione di deprivazione. In una terra dove l’impiego latita, o laddove i contratti sottoscritti talvolta risultano al di sotto della soglia minima della decenza, tocca alle istituzioni evitare l’abbraccio mortale delle mafie. Come? Garantendo lavoro, aiutando l’impresa, oppure, in alternativa, assicurando un reddito che rappresenti una misura di libertà, che liberi le fasce più povere e bisognose dalle lusinghe della criminalità e del voto di scambio.

La ‘ndrangheta non si sconfigge con i soli strumenti repressivi, ma con il lavoro, la cultura, la denuncia e ripetendo il suo nome mille volte ancora. La 'ndrangheta si batte spezzando quella rappresentazione collettiva che la dipinge come un fenomeno quasi folkloristico, alla stregua di una tradizione popolare o di una pietanza, anziché come un crimine che si regge sulla violenza, sulla sopraffazione, sulla morte. Non arrendiamoci al silenzio, diventeremmo omertosi. Opponiamoci con tutte le nostre forze alle logiche mafiose e teniamo fuori la 'ndrangheta dalle istituzioni e dalle nostre vite. Per farlo è necessario partire parlando di 'ndrangheta nella quotidianità, ai bambini, agli studenti, sul lavoro.