Flop dei centri migranti in Albania, la Corte Ue umilia il governo: restano vuoti e i “Paesi sicuri” non li decide Meloni
Altro che scorciatoia sui rimpatri: da Lussemburgo arriva lo stop e il piano bandiera di Palazzo Chigi rischia di trasformarsi in un boomerang politico
La scena è questa: due centri nuovi di zecca in Albania, costati milioni e inaugurati come fiore all’occhiello del governo Meloni, e intorno solo il silenzio. Nessun pullman di migranti in arrivo, nessuna procedura rapida di rimpatrio. A popolare le strutture di Schengjin e Gjader, destinate a essere la vetrina del pugno duro sui flussi irregolari, ci sono appena una trentina di persone. Dovevano essere centinaia, secondo il progetto annunciato in pompa magna dal Viminale.
Ora la Corte di Giustizia europea ha messo il sigillo finale a quella che rischia di diventare una gigantesca figuraccia: la lista dei cosiddetti “Paesi sicuri” non può essere un atto di pura volontà politica. Non basta che il governo decida chi è sicuro e chi no. Serve un vero controllo giurisdizionale, una revisione effettiva da parte dei giudici. Solo così si può negare la protezione internazionale con le procedure accelerate di frontiera.
Tradotto: finché non entra in vigore il nuovo regolamento europeo, previsto nel giugno 2026, l’Italia non può spedire in Albania migranti provenienti da Paesi dichiarati “sicuri” a piacimento. E non basta dire che la maggior parte della popolazione è al riparo: se anche solo alcune categorie – minoranze, oppositori politici, comunità a rischio – non sono protette, il Paese non può essere inserito nella lista.
Mille giorni da Meloni: tra rapide, paracaduti e silenzi calcolati, la premier resiste nel buio della storiaLa Corte ha risposto a due quesiti sollevati dai giudici italiani, stanchi di annullare uno dopo l’altro i trattenimenti di migranti trasferiti nei centri albanesi. Il primo: cosa significa davvero “Paese sicuro”? Il secondo: cosa fare se i diritti fondamentali sono violati anche solo per alcune categorie di persone? Lussemburgo non ha lasciato margini di interpretazione: la politica può scrivere la lista, ma solo il controllo dei giudici la rende davvero valida.
Per il governo, che sperava in un lasciapassare per usare le strutture come scorciatoia sui rimpatri, è un colpo durissimo. Giorgia Meloni aveva puntato moltissimo sull’operazione Albania come simbolo del “cambio di passo” sull’immigrazione. Ma la realtà, per ora, è impietosa: le cattedrali nel deserto costano, restano quasi vuote e ogni trattenimento viene puntualmente annullato dai tribunali italiani.
Il pronunciamento di oggi dice chiaramente ai giudici che stavano fermando i trasferimenti: avevate ragione. Non solo: fino a quando non arriverà la nuova normativa europea, chi proverà a forzare la mano rischia di veder crollare ogni provvedimento davanti al primo ricorso.
Nel frattempo, i migranti soccorsi in mare continuano a essere gestiti in Italia. Niente voli per Tirana, niente procedure lampo per liberare i porti siciliani. Il grande piano per “esternalizzare” la gestione dei flussi, che doveva ispirarsi al modello britannico del Ruanda, per ora resta sulla carta. Con una differenza: a Londra ci hanno provato e hanno trovato il muro della Corte Suprema, qui il muro lo ha alzato direttamente l’Europa.
A Palazzo Chigi e al Viminale si aggrappano a un’unica speranza: che Bruxelles anticipi l’entrata in vigore del nuovo regolamento, aprendo la strada alle eccezioni per alcune categorie di migranti. Ma, calendario alla mano, la data ufficiale resta giugno 2026. Troppo lontana per rivendere il piano come un successo politico a breve termine.
Per l’opposizione è una manna dal cielo: «Altro che governo dei porti chiusi – commentano dal centrosinistra – siamo davanti all’ennesima sceneggiata mediatica che si sgonfia alla prova dei fatti».
Intanto, i centri in Albania restano lì: vuoti, sorvegliati e pronti a ospitare una manciata di persone alla volta. Una fotografia che rischia di diventare la metafora di un intero capitolo della politica migratoria del governo Meloni: tanta propaganda, pochi risultati, e ora anche la bocciatura ufficiale della Corte di Giustizia europea.