Gianfranco Fini, il leader che poteva cambiare la destra italiana e che invece è stato liquidato troppo presto
Ha avuto la forza di recidere i legami col fascismo e di proiettare la destra in un orizzonte europeo. Da presidente della Camera ha incarnato rigore e sobrietà istituzionale, poi le vicende politiche e giudiziarie che lo hanno affossato
La puntata di Otto e Mezzo su “Trump, Meloni e la flottilla” ha riportato in primo piano Gianfranco Fini. Duellando con Lilli Gruber, ha mostrato la grinta di sempre. Anche una certa autorevolezza. Anche se il suo ritorno ricorda soprattutto la parabola di un leader che poteva cambiare la destra italiana e che invece è stato liquidato troppo presto.
Otto e Mezzo diventa un ring: Fini attacca Gruber, microfono tolto e accuse di «domande stupide». Lui si smarca da Meloni su Trump e PalestinaFini l’uomo politico che ebbe la forza e la determinazione di recidere i legami col neo fascismo, di proiettare la destra in un orizzonte europeo, di correggere posizioni rigide sull’immigrazione. Da presidente della Camera seppe incarnare rigore e sobrietà istituzionale, qualità rare nella politica italiana. Aveva intuito che senza una svolta la destra sarebbe rimasta prigioniera di antiche nostalgie.
Eppure la sua traiettoria si è spezzata, quando ancora aveva tanto da dire. Berlusconi lo ha logorato fino all’estromissione, i suoi uomini lo hanno abbandonato, e le vicende familiari e giudiziarie – dalla casa di Montecarlo in giù – hanno finito per travolgerlo, anche più delle sue scelte politiche. Così il progetto di una destra moderna, democratica, europea, è affondato con lui.
Oggi, mentre la destra al governo indulge in sovranismi e nuove nostalgie, il fantasma di Fini riappare come l’emblema di un’occasione perduta: un leader che aveva visto giusto, ma che è stato consumato dagli amici, dai tradimenti e dai suoi stessi errori.