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22/07/2025 ore 07.46
Politica

La carezza e il veleno: cosa si sono detti Meloni e Zaia nel faccia a faccia (segreto) a Palazzo Chigi

La mossa è chiara: logorare il Capitano offrendo al governatore una via regale verso la leadership leghista. E intanto, in Veneto, prepara la trappola: una lista Zaia a supporto di un nome “gradito” a Palazzo

di Luca Arnaù
Il governatore Zaia e la premier Meloni

La telefonata è arrivata da un numero sconosciuto. L’invito, in puro stile democristiano, con contorno di miele e retrogusto di arsenico: “Ci vediamo a Palazzo, ma in riservatezza”. Giorgia Meloni ha voluto Luca Zaia nel suo ufficio tre settimane fa. Nessuna foto, nessun comunicato, nessun sorriso da prima pagina. Solo un tête-à-tête tra due vecchi nemici costretti a recitare il copione della pace armata. Da un lato la premier in carica, che si atteggia a regina ma si comporta come una duchessa con il pugnale nella manica. Dall’altro il Doge del Nord-Est, costretto ormai a contare i giorni che lo separano dalla scadenza naturale del suo regno veneto, frustrato dal niet al terzo mandato e braccato dal risiko della successione.

Il Risiko di Giorgia: ministeri, governatori e sgambetti. E Salvini mastica amaro

Meloni ha iniziato con la mano tesa. Niente rancori, caro Luca, sai come vanno queste cose: le leggi non si cambiano per simpatia. Il terzo mandato? Tabù. Il rimpasto con premio di consolazione? Roba da Salvini, non da noi. Quella poltrona al Viminale che qualcuno accarezza per te? Una fantasia che non ci scalda. Piuttosto – e qui viene il veleno sotto zucchero – pensa a una tua bella lista civica. Alleati con noi, resta nella partita, ma gioca come vogliamo noi. Un posto in prima fila, certo, ma nel teatro scritto da Giorgia.

Zaia ha ascoltato. Ha annuito. Ma dietro quel profilo basso cova da settimane un’ambizione repressa. Perché Meloni lo sa, e gliel’ha fatto capire a modo suo: tu sei molto più presentabile del tuo segretario. Salvini è zavorra, un misto di TikTok e Vannacci, una macchina di gaffe e nostalgie d’orbace. Tu, invece, sei istituzionale. Hai l’eloquio rassicurante, il volto pulito, il consenso scolpito nel marmo. Sei il leader che la Lega avrebbe potuto avere, se non si fosse incartata dietro l’estetica del tamarro.

Il messaggio di Giorgia è sottile ma affilato: “E se fossi tu il prossimo?”. Un’esca lanciata con maestria, non per amore, ma per convenienza. Sostituire Salvini con Zaia significherebbe per Palazzo Chigi avere finalmente una Lega più docile, meno incline ai blitz, più disposta a firmare cambiali in bianco. Una Lega nordista, sì, ma addomesticata. Da cortile, non da stadio.

Mille giorni da Meloni: tra rapide, paracaduti e silenzi calcolati, la premier resiste nel buio della storia

Il Doge, però, è animale astuto. Non ha abboccato subito. Sa che Meloni non regala nulla senza pretendere il conto. E sa anche che nel partito di via Bellerio le faide si combattono con gli archibugi, non con i comunicati. Per prendersi la Lega, Zaia dovrebbe sporcarsi le mani. Fare i conti con l’ala salviniana, con gli ex colonnelli di Bossi, con i maroniani in cerca di rivincite. Dovrebbe, insomma, tradire l’immagine che si è costruito: quella del governatore che vola alto, lontano dal fango della trincea.

Eppure, il tempo stringe. Il centrodestra deve trovare un candidato per le regionali in Veneto e nessuno dei nomi circolati convince davvero. Alberto Stefani? Un fedelissimo di Salvini, buono per i congressi ma fragile sul territorio. Marco Conte? Troppo di Treviso e troppo poco di tutto il resto. Fratelli d’Italia spinge Raffaele Speranzon, un soldatino di Fazzolari. Ma nessuno ha lo spessore, i voti e la presa popolare di Zaia. Ed è qui che Meloni gioca la sua carta: una lista “Zaia” che raccolga voti per un candidato indicato da Palazzo, con la promessa di premi futuri. Una trappola elegante, cucita su misura.

Intanto, dietro le quinte, si muove anche Salvini. Non è scemo, fiuta l’aria. Per fermare l’erosione, ha offerto al governatore un ministero. Un osso da rosicchiare, nella speranza che smetta di ringhiare. Ma ormai è tardi. Meloni ha messo in moto il suo piano e la bomba orologeria è partita. Nel giro di pochi mesi, la leadership del Carroccio potrebbe diventare una polveriera. O una scalata in guanti bianchi, con Giorgia nel ruolo di regista silenziosa.

Per ora, tutto è sospeso. Zaia tace, osserva. Ma intanto cresce il malumore tra i leghisti di vecchia scuola, quelli che non vogliono diventare una succursale meloniana. Cresce anche tra i quadri di Fratelli d’Italia, che mal digeriscono l’ipotesi di un Doge in salsa tricolore. E cresce, soprattutto, la consapevolezza che Salvini sia diventato il vaso di coccio tra due fuochi: da una parte Meloni, che vuole sostituirlo con un alleato più gestibile; dall’altra Zaia, che non dice nulla ma prepara le carte.

Lo scontro finale è rimandato, ma solo di poco. E se alla fine il Doge dovesse accettare l’offerta? Se davvero Zaia si mettesse a capo di una Lega “pulita”, nordista, civile, e magari pronta a federarsi con FdI? Per Salvini sarebbe la fine della corsa, e per Giorgia l’inizio del controllo totale. Un’OPA sul centrodestra in piena regola, con un avversario in meno e un alleato in più.

La domanda resta sospesa, come una minaccia: cosa vuole davvero Luca Zaia?
E quanto è disposto a concedere, pur di tornare a contare davvero?