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29/09/2025 ore 07.36
Politica

Lettera al futuro presidente della Regione: «Premi i capaci e dia una chance alla Calabria che resiste»

L’appello al prossimo governatore per una normalità che permetta alla burocrazia di non essere una palude e ai meritevoli di restare: «La vera sfida del suo mandato sarà rendere la regione abitabile, credibile, rispettabile»

di Francesco Vilotta

Egregio futuro Presidente,

Le scrivo da una delle nostre stazioni, in una mattina chiara di vento. L’aria sa di ferro e di mare, e un treno diretto a nord parte lento, trascinando con sé zaini, valigie, sogni e saluti trattenuti. Ogni volta che un treno lascia la Calabria, non se ne va solo una persona: parte un pezzo di futuro, un’altra occasione mancata, un’altra promessa tradita. È da questa immagine che dovrebbe cominciare il Suo mandato: dal dolore silenzioso di chi parte e dal vuoto che resta. Ma anche dall’impossibilità di chi vorrebbe tornare e non può, perché tornare qui, oggi, è spesso un passo indietro. Più che sognare rivoluzioni o primati, la Calabria ha bisogno di una parola più semplice, ma infinitamente più difficile: normalità.

Essere una regione normale, qui, significherebbe tornare a riconoscere il valore delle regole, del metodo, della responsabilità. Perché la Calabria non è ferita solo nella sua economia, ma nella sua organizzazione: confusione, improvvisazione, ritardi, superficialità. Non è normale che un cittadino debba inseguire un documento come fosse un privilegio. Non è normale che un cantiere si fermi per mesi, che un ufficio non risponda, che la burocrazia sia una palude. Non è normale che la disorganizzazione sia diventata costume e che il pressappochismo venga confuso con la furbizia. Dove regna la confusione prospera l’inefficienza, e dove prospera l’inefficienza la mediocrità si traveste da competenza. Il male della Calabria non è l’arretratezza: è l’abitudine al disordine. È la convinzione che arrangiarsi sia più intelligente che rispettare le regole. È l’incapacità di costruire qualcosa insieme. Per questo, prima di ogni piano industriale, serve una rivoluzione culturale: imparare un metodo, imparare a lavorare, imparare a fare rete, imparare a fare comunità.

Ma la Calabria non è così per caso. È così perché la serietà non è stata insegnata, perché la competenza è stata scambiata per presunzione, e perché chi prova a cambiare metodo viene spesso isolato. Si premiano gli obbedienti, non i capaci. Si scelgono i fedeli, non i competenti. Così la regione si è riempita di persone al posto sbagliato, di uffici che non comunicano, di risorse sprecate, di amministrazioni paralizzate. La verità è che qui non basta cambiare governo: bisogna cambiare mentalità. La classe dirigente deve tornare a essere scuola di rigore, non passerella di slogan. Perché la Calabria non ha bisogno di eroi, ma di persone serie e normali.

Eppure, dentro questa confusione, ci sono anche i semi di una Calabria diversa. C’è un medico che ogni giorno cura con fatica chi non può permettersi di partire. C’è un maestro che va a scuola, perché sa che lì dentro ci sono bambini che hanno bisogno di futuro. C’è un giovane che ha scelto di restare e di costruire un’impresa onesta, senza santi in paradiso. Queste persone non fanno rumore, ma tengono in piedi la Calabria reale: quella che non finisce sui manifesti, ma resiste ogni giorno. È da loro che la politica dovrebbe ripartire, non dai convegni, non dalle promesse, ma da questa minoranza silenziosa che continua a credere nella dignità del lavoro e della serietà.

Le elezioni regionali del 5 e 6 ottobre 2025, che La porteranno o riporteranno alla guida della Regione, rappresentano un passaggio cruciale. Perché questa volta non ci si può più limitare alle parole, ma alle verifiche. I numeri raccontano solo la superficie: la spesa effettiva dei fondi europei 2021-2027 non ha superato il 2,3% della dotazione disponibile; il tasso di occupazione si ferma al 46,1%; ogni anno circa dodicimila giovani lasciano la regione. Ma dietro questi dati non c’è solo crisi economica: c’è la crisi del metodo. Perché un popolo senza metodo è un popolo che smette di crederci. E chi smette di crederci, se ne va.

Chi parte non lo fa solo per guadagnare di più, ma per vivere meglio. E chi torna, spesso, trova la stessa disorganizzazione che l’aveva spinto ad andarsene: uffici immobili, attività improvvisate, sistemi inefficaci, istituzioni ostili. Chi rientra fa dieci passi indietro. Trova un contesto che non è cresciuto con lui, che non è all’altezza della sua professionalità, del suo sguardo abituato alla normalità. E così, chi torna prende due calci: il primo quando è stato costretto a partire, il secondo quando prova a tornare. Prima di parlare di partenze e di ritorni, bisogna preparare il terreno per diminuire le partenze e per essere all’altezza dei ritorni. Perché finché la Calabria non sarà pronta ad accogliere chi porta esperienza, conoscenza, rigore e competenza, resterà solo una terra da amare da lontano. Le vacanze sì, sono una gioia; ma la quotidianità, per chi arriva dalla normalità, resta insopportabile.

Ecco, Egregio Presidente, la vera sfida del Suo mandato sarà questa: rendere la Calabria abitabile, credibile, rispettabile. Non solo per chi la ama, ma per chi ci lavora. Non solo per chi vi nasce, ma per chi vorrebbe sceglierla. Non Le chiedo miracoli, Le chiedo metodo. Pretendere serietà, competenza, responsabilità. Fare funzionare ciò che già c’è, farlo bene, farlo con continuità. Non basta “metterci la faccia”, serve metterci la testa. La Calabria non ha bisogno di annunci, ma di coerenza. Non di entusiasmo momentaneo, ma di disciplina quotidiana. Non di buone intenzioni, ma di risultati.

Essere una regione normale, qui, sarebbe la più grande delle rivoluzioni. Perché la normalità è rispetto, è affidabilità, è rigore. È il punto di partenza di ogni civiltà. Quando un treno tornerà dal nord, non dovrà più accadere ciò che accade oggi. Chi torna non deve trovare una Calabria ferma, arruffata, impreparata, incapace di valorizzare chi sa fare. Chi torna deve trovare un luogo che lo accolga, non che lo respinga. Solo allora i treni non porteranno più via il futuro, ma lo riporteranno a casa. Solo allora un ragazzo laureato sceglierà di restare non per nostalgia ma per fiducia. Solo allora il lavoro serio tornerà a essere rispettato e la disorganizzazione finalmente sconfitta.

E quando accadrà, Presidente, non parleremo più di chi è partito o di chi è rimasto, ma di scelte consapevoli. Parleremo semplicemente di calabresi: di un popolo che non si misura più dalla distanza, ma dalla dignità. E quella sì, sarà la più grande rivoluzione della nostra storia: non un urlo, ma una conquista silenziosa.

Con rispetto e con speranza,

Francesco Vilotta

(Un cittadino calabrese che non vuole più scegliere tra partire o restare, ma tra credere e smettere di farlo)