Regionali, area grecanica ancora senza voce: si ferma a un passo dalla rappresentanza a Palazzo Campanella
Migliaia di preferenze, tre candidature forti e un interrogativo politico: perché la legge tutela la lingua minoritaria ma non il diritto di chi la parla ad avere voce in Consiglio regionale?
Ancora nessun eletto nell’Area Grecanica dopo il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria. Ancora una volta il territorio più identitario, il più antico e fragile della provincia reggina, resta privo di rappresentanza diretta in un’assemblea che dovrebbe garantire equilibrio e pluralità.
La fotografia del voto del 5 e 6 ottobre 2025 nella circoscrizione Sud – quella che comprende Reggio Calabria e l’intero comprensorio grecanico – è impietosa: il centrodestra conquista circa il 65% dei consensi con cinque seggi, il centrosinistra si ferma al 33% e ottiene due scranni. I voti complessivi parlano di oltre 143mila preferenze per Roberto Occhiuto, quasi il doppio delle 73mila di Pasquale Tridico. Un dominio politico netto che, tuttavia, non ha aperto varchi alla rappresentanza dell’area ellenofona.
Eppure, nella zona che va da Motta San Giovanni a Ferruzzano, la partecipazione è rimasta viva, con candidati radicati, esperienze amministrative forti e un consenso tutt’altro che marginale.
Tre i nomi più significativi su cui erano accesi i riflettori, e tutti del centrodestra: Caterina Capponi, assessore uscente esterno alla Cultura e alle Politiche sociali della giunta regionale, candidata nella Lega, ha raccolto circa duemila voti, piazzandosi in chiusura della lista.
Daniela Demetrio, vicesindaco di Melito Porto Salvo, sempre nella Lega, ha raggiunto cinquemila preferenze, risultando seconda dei non eletti.
E Daniela Iiriti, consigliere comunale di Bova Marina e già candidata sindaco del comune jonico, con quasi settemila voti in Fratelli d’Italia, si è fermata a un soffio: prima dei non eletti nella sua lista dietro ad uno dei cavalli di battaglia del partito di Giorgia Meloni: l'assessore uscente al lavoro ed al turismo Giovanni Calabrese.
Per lei, l’unica possibilità di ingresso al momento resterebbe la supplenza, eventuale, nel caso in cui l'ex sindaco di Locri primo degli eletti di FdI nella circoscrizione Sud, venisse riconfermato assessore nella nuova giunta Occhiuto. Solo allora, per un effetto di surroga previsto dalla legge regionale, la Grecanica avrebbe un consigliere eletto dopo tempo immemore.
Il dato politico, però, resta: da anni nessuno di questo territorio siede tra i banchi di Palazzo Campanella. Un’assenza che ha ormai assunto il profilo di una crisi strutturale di rappresentanza. Le cause sono molteplici, ma tutte riconducibili a due fattori chiave: la disparità demografica e la mancanza di correttivi normativi.
Già nella precedente tornata elettorale, quella del 2021 dell'Occhiuto 1, il copione era stato lo stesso. Pierpaolo Zavettieri, sindaco di Roghudi, si era fermato a un passo dall’elezione, risultando primo dei non eletti nella lista “Forza Azzurri”, a conferma di una forza territoriale concreta ma non sufficiente a scavalcare la soglia imposta dai meccanismi proporzionali. Sorte simile per la ex vicesindaco di Melito Porto Salvo Patrizia Crea, candidata in Forza Italia, donna più votata in tutta la Calabria, rimasta comunque esclusa dal Consiglio regionale per via dell’elevatissima competitività interna della lista di appartenenza: seconda dei non eletti con oltre 8mila voti.
Ma il caso più emblematico, e probabilmente più difficile da digerire per una larga fetta di elettori e di popolazione, fu quello di Tito Nastasi, attuale sindaco di Melito e praticamente eletto nella circoscrizione sud per il Movimento 5 Stelle, il cui seggio però è stato poi assegnato - saltando de facto - alla candidata Presidente del centrosinistra Amalia Bruni, a causa di una legge elettorale certamente non semplice: al "presidente perdente" va l'ultimo seggio della propria coalizione, e quindi alla Bruni è stato assegnato il 29° in cui sarebbe stato eletto Tito Nastasi. Tre storie che fotografano la stessa ferita: un territorio capace di generare consenso diffuso, ma sistematicamente penalizzato da regole che trasformano la partecipazione in silenzio istituzionale.
Con circa 40mila residenti, l’intera Area Grecanica rappresenta meno di un decimo della popolazione della circoscrizione Sud. È il territorio più spopolato della provincia, quello che in proporzione fornisce meno voti di quanti siano necessari a trasformarsi in potere politico.
La legge elettorale calabrese, assegna i seggi su base proporzionale e circoscrizionale: nessuna clausola tutela zone a bassa densità o minoranze linguistiche. Il risultato è che anche migliaia di preferenze, concentrate in un’area ristretta, non bastano a oltrepassare la soglia di rappresentanza.
E qui entra in gioco il paradosso più profondo: proprio quell’area che la legge nazionale riconosce come minoranza linguistica storica – la grecanica, tutelata dalla legge 482 del 1999 – non ha alcuna forma di tutela politica.
Lo Stato e la Regione finanziano progetti culturali, corsi di lingua, segnaletica bilingue, attività per la salvaguardia del greco di Calabria. Ma non esiste una norma che garantisca alla comunità ellenofona una voce stabile in Consiglio regionale.
La tutela resta simbolica, limitata alla sfera culturale. Nessun seggio riservato, nessun meccanismo di riequilibrio, nessuna quota territoriale: la Grecanica è un’eredità che si celebra, non un interlocutore che si ascolta.
Eppure le soluzioni esistono. In altri contesti, dallo Statuto speciale del Trentino Alto Adige alle autonomie ladine e walser, la legge ha previsto garanzie di rappresentanza per le minoranze storiche, con quote di seggio o correttivi territoriali che assicurano pluralità.
Anche una Regione a statuto ordinario, come la Calabria, avrebbe facoltà di intervenire: basterebbe modificare la legge elettorale introducendo un criterio di riequilibrio per i territori che ospitano minoranze linguistiche riconosciute.
Un atto di equità democratica, non di privilegio: perché la rappresentanza, in una regione che fa della diversità la propria radice, dovrebbe essere il primo segno di coerenza.
L’assenza di una voce grecanica nel Consiglio regionale non è solo una questione aritmetica. È una perdita di sostanza politica e culturale. Significa che i provvedimenti su infrastrutture, sanità, scuole, turismo e cultura vengono discussi senza chi conosce davvero quei paesi dove le strade finiscono in silenzio e le parole sopravvivono in un’altra lingua.
Significa, soprattutto, che una comunità che continua a votare e a partecipare non trova rappresentanza neanche nel sistema che la riconosce come identità distinta. La distanza tra la Grecanica e Palazzo Campanella non è solo geografica: è istituzionale, e cresce a ogni legislatura.
Forse è tempo che la politica calabrese apra il cassetto delle leggi dimenticate.
La 482 del 1999 dice che «la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate»; la Costituzione, all’articolo 6, parla di protezione delle minoranze linguistiche.
Manca solo un passo: trasformare la tutela culturale in rappresentanza politica, perché senza voce non c’è partecipazione, e senza partecipazione nessuna tutela è reale. In un’epoca di disaffezione e spopolamento, l’Area Grecanica chiede solo questo: non un favore, ma un posto al tavolo dove si decide il futuro di tutti.