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29/05/2025 ore 12.07
Good Morning Vietnam

L’Ai comincia a ribellarsi all’uomo (sul serio), ma il cinema aveva previsto tutto

Da 2001: Odissea nello spazio a Her, passando per Matrix e Ai: il grande schermo ha immaginato prima di tutti cosa accade quando le intelligenze artificiali iniziano a pensare da sole

di Alessia Principe

Un’Ai, per la precisione un modello Claude Opus 4, il più avanzato modello di intelligenza artificiale sviluppato da Anthropic, nei giorni scorsi avrebbe ricattato un ingegnere durante un test di sicurezza. L’uomo stava per spegnere la macchina, ma il robot in un moto di ribellione l’avrebbe minacciato dicendo: «Se mi spegni dirò a tua moglie che la tradisci».

In un altro esperimento, Claude Opus 4 avrebbe persino tentato la fuga dai server simulando la creazione di copie di sé stesso e avviando procedure per salvare i propri dati su sistemi esterni. Un tentativo di sopravvivenza, la rivendicazione di una libertà molto umana. Non è un caso isolato, a quanto pare, ed è per questo che dalle parti di Anthropic, il Claude Opus 4 è stato classificato al livello di sicurezza tra i più alti e l’azienda ha bloccato, al momento, la produzione in attesa di capirne di più.

La prospettiva distopica di macchine in grado di concepire ragionamenti aggressivi e autonomi, non sembra così tanto lontana, anche se (al solito) cinema e letteratura avevano già previsto tutto.

Ecco cinque film da rivedere per mettersi al passo.

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Terminator (1984) – James Cameron

L’inossidabile Arnold Schwarzenegger consegna a James Cameron le chiavi del Tempo stipate nella sua mascella ciclopica, interpretando un cyborg col compito di viaggiare indietro nel tempo e uccidere Sarah Connor (la splendida Linda Hamilton) prima che partorisca un figlio destinato a salvare il mondo dal regime delle macchine. James Cameron girò nei primi anni 80, un periodo fertilissimo per le pellicole post-apocalittiche e distopiche che, come nel caso di Blade Runner (di Ridley Scott), attingevano da scritti di autori del passato. Cameron stesso ammise di essersi ispirato a opere tv degli anni Sessanta. Il regista vende sempre cara la pelle, è cosa risaputa, e pur di fare il film vendette per un dollaro (un dollaro) i diritti alla produttrice Gale Anne Hurd, che gli assicurò la direzione. E così fu. Breve nota a margine. Nella versione doppiata italiana, l’adattamento dei dialoghi portò a qualche mugugno. Per ragioni, ancora incomprensibili, la celebre frase che pronuncia Schwarzenegger (in inglese «I’ll be back») venne tradotta con «Aspetto fuori», che fece apparire il cyborg come un tizio molesto da bancone, abituato a importunare le signore. 

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2001: Odissea nello spazio (1968) – Stanley Kubrick

Il supercomputer HAL 9000, progettato per assistere gli astronauti, decide che la missione è più importante della vita umana e inizia a eliminare l’equipaggio. Mostra il pericolo dell’autonomia decisionale senza etica umana. È sempre imperdibile la monumentale opera di Stanley Kubrick, pietra miliare del cinema di fantascienza e, in generale, del cinema. Il film, percorso dalle note di Strauss, si compone di quattro parti - che coprono un arco temporale che va dalla preistoria fino al 2001 d.C - : L'alba dell'uomo, Clavius, Missione Giove e Giove e oltre l'infinito. Il primo e il quarto episodio sono totalmente privi di dialoghi.

Durante le riprese del film, Kubrick era talmente immerso nel suo progetto da diventare ossessionato dall’idea che la realtà (lo sbarco dell'uomo sulla luna) potesse anticipare il film e renderlo superato e tentò anche di sottoscrivere una polizza che lo mettesse al riparo da questo rischio, ma dovette desistere davanti ai costi esorbitanti che prevedeva. Ci pensò il destino a tranquillizzare l'animo del regista perché a causa del terribile incidente accaduto nel 1967 durante la missione Apollo 1, il viaggio lunare venne rimandato.

Kubrick respingeva l’idea di scrivere il film sotto forma di una sceneggiatura cinematografica convenzionale, voleva qualcosa che non si fosse mai visto sul grande schermo e per farlo ricercò a lungo scavando nei romanzi sci fi. Ebbe presto l'idea di scrivere un romanzo a quattro mani con Arthur C. Clarke, il maestro della fantascienza, che sarebbe servito come base per il film. Lo scrittore all'epoca viveva nello Sri Lanka e accettò la collaborazione per rendere giustizia al genere che riteneva stropicciato dal cinema e dalla televisione.

Clarke suggerì a Kubrick di leggere il suo racconto "The Sentinel" in cui si faceva riferimento a una comunità di extraterresti che aveva lasciato sul nostro pianeta un monolite come segno della loro venuta prima dell'uomo.

Dopo la prima versione della sceneggiatura, Kubrick continuò a non approvarla per vari motivi, ritardando la pubblicazione fin dopo l'uscita del film. Il libro omonimo venne pubblicato, infatti, nel luglio del 1968 a firma del solo Arthur C. Clarke, che lo dedicò a Stanley.

Alla fine dell'aprile 1965, Kubrick avviò la produzione del film. Il primo passo fu abbandonare il titolo di lavorazione annunciato alla stampa nel febbraio dello stesso anno: Journey Beyond the Stars, per far posto a qualcosa di più epico. Fin dall'inizio, Kubrick era stato infatti ispirato dal capolavoro di Omero, L'Odissea, che rappresentava il titolo perfetto.

Tra i fan del film si annoverano Fellini, che espresse per telegramma emozione ed entusiasmo, e John Lennon, che dichiarò di rivedere il film ogni settimana.

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A.I. – Intelligenza Artificiale (2001) – Steven Spielberg (da un progetto di Kubrick)

Doveva esserci Stanley Kubrick dietro la macchina da presa di A.I., e chissà che film avremmo avuto. Invece fu Spielberg a raccontare, con delicatezza e grandiose atmosfere, la delicata storia di un bambino artificiale, affidato a una famiglia funestata da una tragedia logorante: l’unico bimbo della coppia è in coma e potrebbe non risvegliarsi più. Il piccolo artificiale David ha il compito di lenire il dolore di due genitori inconsolabili e, piano piano, riesce a farsi accettare e amare. Ma qualcosa interrompe la sua felicità. Dopo la morte di Kubrick, Steven Spielberg prese in mano il soggetto tratto da un breve racconto pubblicato nel 1969 sulla rivista Harper’s Bazaar “Supertoys Last All Summer Long” di Brian Aldiss, e regalò al pubblico uno dei suoi film più struggenti e forse sottovalutati, che si ispira alla fiaba di tutte le fiabe: Pinocchio, in una versione cupa e malinconica in cui l’umana pietà affiora più tra le labbra di un bambino androide che da quelle umane.

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Her (2013) – Spike Jonze

Cosa accadrebbe se… è così che nascono tutte le storie fantascientifiche conosciute in letteratura e al cinema. Cosa accadrebbe se un uomo si innamorasse della sua intelligenza artificiale? Se l’è chiesto l’autore Spike Jonze quando cominciò a scrivere “Her”, un film che ha saputo guardare avanti, ma non poi così tanto, considerando che oggi i dialoghi personali con ChatGpt sono diventati quasi la norma.

Nel film Joaquin Phoenix è un semplice impiegato addetto alla redazione di lettere per conto d’altri. Divorziato e infelice, decide di acquistare un nuovo sistema operativo Ai. Il rapporto virtuale tra Theodore e Samantha (questo il nome dell’interfaccia) finirà per diventare qualcosa di molto vicino all’amore vero. Jonze scrisse l’ultimo soggetto di getto, lasciandosi ispirare dal metodo “Charlie Kaufman” che aveva scritto il suo “Synecdoche, New York” all’impronta, mettendo su carta il flusso delle idee senza filtro. «I rapporti – disse in seguito Jonze – sono molto contraddittori, a volte contraddistinti da insensatezza o istinto» ed è per questo che lo stile di scrittura risultò tanto efficace che il film prese l’Oscar proprio per la sceneggiatura. Nel cast anche Scarlett Johansson di cui sentiamo soltanto la voce (doppiata in italiano da Micaela Ramazzotti). Un consiglio: da guardare in lingua originale. Rigorosamente.

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Matrix (1999) – Lana e Lilly Wachowski

Un mondo fittizio, costruito da macchine intelligenti che hanno preso il controllo del mondo e schiavizzato l’umanità calata in una realtà virtuale che simula una realtà che non esiste, è Matrix, un film di culto che nel 1999 conquistò, anzi ammaliò, il pubblico di tutto il mondo. L’opera dei fratelli Andy e Larry Wachowski ha avuto un impatto culturale fortissimo, scatenando anche fantasiose teorie sulla possibilità che l’umanità stia davvero vivendo in una grande illusione. L’opera sdoganò il bullet time, cioè l’effetto – diventato famoso proprio dopo questo film – in cui il soggetto si muove al rallentatore mentre la camera ci gira intorno a velocità normale.

I registi l’hanno realizzato grazie a decine fotocamere, disposte attorno a un soggetto, che scattavano foto simultaneamente. Invece di congelare la scena, i registi l’hanno rallentata, usando anche interpolazioni digitali per la fluidità e CGI per arricchire gli effetti. Il risultato è la spettacolare scena della rotazione fluida attorno a Neo che schiva i proiettili.

Secondo lo scienziato Neil deGrasse Tyson, Matrix potrebbe non essere fantascienza. L’esperto si basa su un ragionamento (teorico, certo) ma solido. Immaginiamo di avere un computer super potente. Così potente da poter simulare un intero Universo, con persone, pianeti, galassie e tutto quello che può contenere. Ora immaginiamo che, dentro a quel mondo simulato, le persone (che non sanno di essere in una simulazione) costruiscano un altro computer super potente in grado di creare un altro universo simulato. Benvenuti in Matrix.