Napoli, la maglia scudettata con l’errore: “Autenthic” e il confine tra umanità e approssimazione
La responsabile marketing della società ha scelto di non correggere il refuso e anzi lo rivendica: «Occasione per lanciare un messaggio: chi lavora può inciampare». Ma è il caso di iniziare a distinguere tra il diritto di sbagliare e il dovere di fare bene
Con l’orgoglio di chi torna a indossare lo scudetto, il Napoli ha presentato le nuove divise per la stagione 2025/2026 con tutta la risonanza mediatica che si addice a una squadra campione d’Italia. Design moderno, tricolore ben visibile (ma stampato non cucito, peccato) e un’identità visiva ormai consolidata grazie alla partnership con EA7 Emporio Armani. Eppure, proprio su quella che dovrebbe essere la massima espressione di qualità, attenzione e prestigio, compare un errore tanto banale quanto imbarazzante: la scritta “Authentic” appare come “Autenthic” sull’ologramma della maglia ufficiale.
L’“H” fuori posto è diventata virale nel giro di poche ore, rimbalzando sui social tra ironia, sarcasmo e incredulità. Una svista che in altre circostanze sarebbe potuta passare inosservata, ma che su una divisa celebrativa, con tanto di scudetto cucito sul petto, diventa una macchia difficile da ignorare.
La risposta del club non si è fatta attendere. Valentina De Laurentiis, responsabile del marketing SSC Napoli, ha scelto di non correggere l’errore nelle prossime produzioni, anzi lo ha rivendicato come simbolo di imperfezione umana, trasformandolo in un “messaggio per i giovani”: «Potrei cercare scuse, o correggerlo nel resto della produzione. Ma invece preferisco lasciarlo così com’è, trasformandolo in un’occasione per lanciare un messaggio: chi lavora può inciampare. L’importante è trarne un insegnamento».

«Quel refuso - continua - renderà le nostre divise ancora più “umane” e forse, in un certo senso, uniche. Vorrei che diventassero quasi un messaggio ai più giovani, che spesso hanno paura di agire e di mettersi in discussione per il timore di trovarsi di fronte a un patibolo, spesso virtuale. È proprio quando si cade, invece, che ci si rialza, si cresce e si vive. Come fa da secoli la nostra città, che “nu’ mmore, è vviva… Ancora”».
È vero: errare è umano. Nessuno pretende l’infallibilità, neppure da un club di Serie A o da uno sponsor tecnico globale come EA7. Ma è altrettanto vero che un prodotto del genere – una maglia ufficiale, destinata alla vendita di massa, al collezionismo e a rappresentare un’identità – non nasce da una sola persona distratta. Dietro ci sono studi di design, processi di approvazione, catene produttive, test di controllo qualità, revisione legale e linguistica. È quindi difficile etichettare tutto questo come un “errore umano” singolo.
L’errore non è di un individuo, è di un sistema. E a certi livelli, non è più solo questione di sbagliare, ma di non aver vigilato con la diligenza dovuta. Giustificare tutto in nome dell’umanità rischia di aprire le porte a una cultura dell’approssimazione. Nessuno chiede la perfezione assoluta, ma sì: accuratezza e rigore, soprattutto quando si tratta della squadra campione d’Italia.
La storia del merchandising sportivo non è nuova a errori di questo tipo. Alcuni esempi:
- Manchester United 2008: maglie ufficiali con il nome del club scritto 'Manchestar'. Ritirate subito, ma pezzi rarissimi ora sul mercato collezionistico.
- Nike per la Nazionale USA (2014): errori di traduzione nei materiali promozionali con frasi senza senso in spagnolo e francese.
In molti casi, l’errore si è trasformato in un valore sul mercato secondario, ma raramente è stato ufficialmente rivendicato come “messaggio educativo”.
L’errore sulla maglia del Napoli non è solo una svista ortografica. È diventato specchio di una tendenza nazionale: una certa difficoltà ad affrontare le responsabilità collettive, a pretendere professionalità senza scadere nel perfezionismo.
Quel “Autenthic” è sì un refuso, ma anche un simbolo. Non dell’umanità, ma dell’approssimazione culturalmente tollerata. In Italia, troppo spesso si guarda con indulgenza agli errori sistemici, trasformandoli in aneddoti o in metafore consolatorie. E invece sarebbe il caso di iniziare a distinguere tra il diritto di sbagliare e il dovere di fare bene, specie in ambienti professionali di questo livello.
Un errore che scappa può anche far sorridere. Ma un errore volutamente mantenuto e giustificato come “valore aggiunto”, solleva domande sul tipo di standard che vogliamo tramandare.
La scelta del Napoli divide: c’è chi la trova romantica, chi la giudica inaccettabile. Ma in fondo il vero tema non è solo una “H ribelle”. È il significato che si attribuisce all’errore e come esso riflette la serietà (o la mancanza di essa) in ciò che si produce, rappresenta e comunica. La maglia scudettata, per molti, meritava più attenzione. E non solo per l’onore del tricolore cucito sopra, ma per ciò che rappresenta: orgoglio, precisione e rispetto per la propria storia e il proprio pubblico.
Certo, c’è da dire che tra qualche anno queste maglie con il refuso “Autenthic” potrebbero diventare veri e propri pezzi da collezione. L’errore, che oggi fa discutere, domani potrebbe diventare un elemento distintivo, raro, e persino ambito da tifosi e appassionati. Una piccola consolazione.
Giustifico l’errore umano, sempre. Può capitare a chiunque. Ma non giustifico l’errore di un sistema: un sistema che coinvolge decine, se non centinaia di figure professionali, controlli, livelli di approvazione e competenze trasversali. Quando sbaglia un sistema intero, non si può parlare più solo di umanità. Si parla di responsabilità condivisa, e della necessità – soprattutto a questi livelli – di essere all’altezza delle aspettative. Perché ogni dettaglio conta. Anche una lettera.
Buona comunicazione a tutti.