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28/11/2025 ore 18.56
Sanità

Bimbo rischia di soffocare per un’arachide ma in Calabria non è disponibile un broncoscopio pediatrico, salvato a Napoli

La strumentazione necessaria mancava a Crotone, Catanzaro e Cosenza. L’amarezza della madre: «Gli ospedali non possono rimandare indietro un bambino che rischia di morire. Mio figlio salvato non grazie al sistema, ma nonostante il sistema».

di Redazione Atttualità

Una notte di terrore per Ramona e il suo piccolo Salvatore. Una vicenda che riaccende i riflettori sulle gravi lacune della sanità calabrese arriva da Crotone, dove una madre ha deciso di raccontare pubblicamente ciò che è accaduto a suo figlio dopo aver ingerito un’arachide. Un episodio che avrebbe richiesto un intervento rapido – una broncoscopia pediatrica d’urgenza – si è trasformato in un un’odissea. 

L’emergenza si manifesta in pochi minuti, e il bambino viene portato al Pronto Soccorso di Crotone. Ma l’ospedale della città pitagorica non dispone della strumentazione pediatrica idonea per rimuovere un corpo estraneo dalle vie aeree.

Inizia così una corsa contro il tempo, fatta di telefonate e tentativi di trasferimento verso gli ospedali hub della regione, Catanzaro e Cosenza. Prima un dietrofront da Catanzaro, poi un secondo rifiuto da Cosenza per mancanza di componenti dell’apparecchiatura.

Solo dopo ore di angoscia arriva la risposta del Santobono di Napoli, che accoglie il piccolo e gli salva la vita.

La lettera aperta di Ramona non è solo il racconto di un incubo vissuto da una famiglia. È un atto di denuncia che interroga le istituzioni: com’è possibile che un’intera regione non sia in grado di gestire un’emergenza pediatrica potenzialmente fatale?

La lettera

«Sono le 20:00 quando mio figlio Salvatore, dopo aver mangiato una semplice arachide, inizia a tossire insistentemente. Poco dopo compaiono strani rumori respiratori: un segnale che conosco bene, un possibile corpo estraneo nei bronchi, un’emergenza che può essere fatale.
Senza perdere tempo, lo accompagno al Pronto Soccorso di Crotone.
La Pediatria del San Giovanni di Dio agisce immediatamente. La dottoressa Spinelli visita mio figlio, lo monitora, esegue esami ematici, RX torace e TAC. Il sospetto di inalazione è chiaro e la broncoscopia è urgente, ma a Crotone non è disponibile. È sabato notte, ma la dottoressa non perde un secondo: inizia una difficile serie di telefonate per trasferirlo in un centro capace di intervenire.
E qui inizia l’incubo.
Prima Catanzaro: un’apparente disponibilità, poi il dietrofront. “Non abbiamo il broncoscopio pediatrico.”
Poco dopo Cosenza: altro via libera, altra speranza, altra illusione. Ambulanza pronta, mio figlio sulla barella, siamo fuori dal Pronto Soccorso. Dopo mezz’ora di attesa, l’ennesima telefonata: “Manca un pezzo del broncoscopio.” Trasferimento annullato.


Mio figlio, in codice rosso, resta ricoverato a Crotone, mentre noi genitori trascorriamo la notte accanto a lui, con la paura che quell’arachide potesse gonfiarsi e ostruire completamente il bronco.
Non posso descrivere lo stato d’animo di quelle ore. Una madre e un padre non dovrebbero mai trovarsi a sperare che un ospedale non dica “no” a un bambino che rischia di soffocare.


La dottoressa Zampogna, primario di Pediatria, interviene anche da casa. Contatta centri fuori regione. Finalmente il Santobono di Napoli risponde, come sempre, con professionalità e tempestività.
Non possiamo volare per il maltempo: partiamo in ambulanza, accompagnati dal dottor Ivan Martinez, fino a Napoli. Al Santobono il corpo estraneo viene rimosso d’urgenza da un’équipe straordinaria, alla quale sarò grata per tutta la vita.
Ma una domanda resta, ed è amarissima:  com’è possibile che in tutta la Calabria non esista un broncoscopio pediatrico funzionante?

Com’è possibile che due ospedali hub rifiutino un bimbo in pericolo di vita, senza offrire un’alternativa, senza assumersi la responsabilità che la sanità pubblica impone?
Gli ospedali non possono dire “non possiamo farlo” quando si parla di un’emergenza pediatrica. Non possono rimandare indietro un bambino e una famiglia nel panico. Non possono ripetere “manca l’apparecchio” o “manca un pezzo” come se la vita fosse opzionale.

A che servono gli HUB e gli SPOKE, se al momento del bisogno le attrezzature non ci sono e i trasferimenti vengono revocati quando il paziente è già in ambulanza?
Il Reparto di Pediatria di Crotone ha dimostrato cosa significhi dedizione, competenza e umanità.
Ma non può essere l’impegno di singoli medici a salvare i bambini da un sistema che non funziona.
Questa lettera non vuole essere una polemica sterile.
Vuole essere una richiesta, chiara e dovuta: che la Regione Calabria verifichi immediatamente le dotazioni pediatriche negli ospedali; che venga garantito un percorso di emergenza efficiente e attrezzato; che i bambini calabresi abbiano lo stesso diritto alla salute dei bambini del resto d’Italia.
Perché mio figlio è stato salvato non grazie al sistema, ma nonostante il sistema.
E non è così che dovrebbe funzionare una sanità che si definisce pubblica».