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11/07/2025 ore 09.47
Sanità

Dialisi a Reggio Calabria nel mirino del Tar, una sentenza che fa emergere tutte le contraddizioni dell’Asp

Delibere dell’azienda sanitaria smentiscono il negato accreditamento di strutture che hanno aumentato i posti rene della provincia e sottolineano, tra l’altro anche «contraddittorietà con precedenti atti autorizzativi ed eccesso di potere per irragionevolezza»

di Elisa Barresi

«Il ricorso è fondato e, come tale, deve essere accolto. Ne consegue l’annullamento del parere negativo adottato dall’Asp di Reggio Calabria». È questa l’estrema sintesi di una sentenza del Tar reggino sul ricorso proposto dalla società Dialisi San Giorgio S.r.l., contro l’Asp per l'annullamento dell’atto con cui la stessa azienda ospedaliera ha espresso un parere negativo in termini di compatibilità dell’istanza di accreditamento istituzionale avanzata dalla società, consistente nel trattamento di pazienti dialitici extraospedalieri.

Una stangata che sta proprio nelle motivazioni che si leggono in sentenza. Infatti, il calvario dei dializzati reggini non è un fenomeno nuovo o sconosciuto. Tutt’altro, sono anni che raccontiamo le sofferenze di chi, oltre alla malattia è costretto a combattere anche con un sistema sanitario che non garantisce l’assistenza necessaria costringendo a lunghi viaggi che, per chi è dializzato, si trasforma in una vera e propria Via Crucis.

Un accreditamento negato, insomma, a fronte di nuovi posti rene che a Pellaro hanno ridato speranza con un Centro Dialitico extraospedaliero che eroga, in ragione, con 18 posti letto, trattamenti sanitari in favore di pazienti dializzati cronici.

Ma l’Asp ha negato l’accreditamento evidenziando «la sostanziale stabilità, nel tempo, dei posti letto di emodialisi, programmati in un numero oscillante tra i 95 ed il 98, sicché, a suo avviso, la formulazione della rete dialitica ed ospedaliera, passata ed attuale, non prevederebbe posti aggiuntivi. Pur facendo salve eventuali future ulteriori rimodulazioni, di competenza della Regione, l’Azienda ha, dunque, concluso affermando: «di non essere nelle condizioni di esprimere una valutazione positiva di compatibilità delle attività richiesta, in quanto i margini numerici risulterebbero incompatibili rispetto ad un ulteriore aumento di posti rene; di avere intrapreso un’attività sanitaria volta all’implementazione delle risposte di terapia dialitica domiciliare nell’ottica di quanto previsto in tutti i documenti di riferimento nazionali “casa come luogo di cura” e che tale attività si attiverà nel mese corrente con un ambulatorio dedicato».

Motivazioni che hanno fatto scattare il ricorso, oggi vinto, dalla società che ha evidenziato «Contraddittorietà con precedenti atti autorizzativi; Violazione dei principi di concorrenza e libera prestazione dei servizi; Difetto di motivazione; Eccesso di potere per irragionevolezza, carenza di istruttoria, travisamento dei fatti».

Più precisamente, si legge nella sentenza, l’Asp si sarebbe limitata a parametrare la sua valutazione di compatibilità rispetto ad un dato storico avente valenza meramente ricognitiva dei 98 posti letto rene in essere presso le strutture pubbliche ubicate nel territorio di competenza, senza tuttavia prendere in doverosa considerazione l’effettivo e persistente fabbisogno delle prestazioni di emodialisi. Tale fabbisogno, del resto, sarebbe stato puntualmente evidenziato dalla stessa Asp che, con la delibera n. 582 del 17 maggio 2018, quantificava in 29 il numero degli ulteriori posti letto - rene necessari al soddisfacimento, nella provincia di Reggio Calabria, di una domanda di emodialisi proveniente dai pazienti dialitici cronici. Tale domanda, a posti letto-reni invariati, sarebbe, nel tempo, rimasta immutata se non persino aumentata, con evidente aggravamento dei costi economici, a carico della spesa pubblica, oltre che di quelli umani, connessi alla migrazione sanitaria e conseguente necessità, per il Skistema sanitario regionale di avvalersi di centri dialisi privati accreditati, in assenza di strutture pubbliche sufficientemente dotate.

Una serie di contraddizioni che hanno portato alla sentenza che oggi rimette tutto in discussione. Tutto questo considerando anche che «la Regione Calabria avrebbe previsto che, in ambito ospedaliero, si debba provvedere alla gestione clinica dei soli pazienti nefropatici acuti, ad elevato grado di “criticità nefrologica”, per i quali si renda necessario e/o opportuno il ricovero ospedaliero, mentre i pazienti “non critici” ovvero quelli in “post criticità” devono essere gestiti dalle strutture sanitarie territoriali, quali i cd. Centri Dialitici, tra cui quello gestito dalla ricorrente».

Per i giudici, infetti, esiste all’attualità, di un fabbisogno insoddisfatto di almeno 29 posti letto-rene. Proprio per questo il parere negativo in contestazione risulterebbe, per un verso «intimamente contraddittorio e, per altro verso, deficitario, dal punto di vista istruttorio, anche in ragione della mancata valutazione circa la possibilità di accreditare la società ricorrente modulando, in sede di stipula del relativo accordo contrattuale, il livello di finanziamento da assegnare, eventualmente procedendo alla revoca dell'accreditamento della capacità produttiva che fosse in eccesso».

Ciò vi è più in ragione della mancata attivazione tanto dei prospettati 16 posti letto- rene presso la Struttura ex Enpas quanto dei 5 posti letto presso la struttura pubblica Casa della Salute di Scilla.
Una sentenza che lascia emergere contraddizioni interne all’Asp. Basti pensare che già nel 2018 la stessa azienda deliberando rilevava come il «territorio soffre già di una grave carenza di posti rene in grado di soddisfare il bisogno di assistenza sanitaria costituzionalmente loro dovuta».

In altri termini, «a fronte di un dato storico/statico, pari a 98 posti letto rene, a decorrere dal 2018 e fino a tutto il 2024, l’Asp di Reggio Calabria ha più volte evidenziato come manchino all’appello, per così dire, almeno 29 posti letto rene affinché possa dirsi garantita l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza in favore dei pazienti nefropatici cronici, extraospedalieri e tale grave lacuna, per come affermato dalla ricorrente e non contestato dalla difesa dell’amministrazione, non è stata fin qui colmata».

I pazienti dializzati possono tirare un sospiro di sollievo, almeno per ora, nella speranza che i tempi della giustizia e della burocrazia non continuino a incidere sulla qualità della vita di chi deve lottare contro un male così invalidante.