«In Calabria ammalarsi è diventato un lusso, ci dicano di che morte dobbiamo morire»: l’odissea di una paziente oncologica
La 59enne di Cosenza racconta il suo percorso sanitario iniziato nel 2018 con una diagnosi di tumore, le prime cure in Calabria, l’esperienza fuori regione, l’urgenza di doversi rivolgere costantemente al privato: «Mi fa paura chi dice che va tutto bene, noi non siamo mai creduti»
Curarsi nella propria terra, frenare la migrazione sanitaria. Slogan che rimbombano nei convegni, dai palchi della politica che conta. Eppure, per i comuni mortali, quella che dovrebbe essere un’ovvietà, non è che un’utopia. Una rosea aspettativa che affonda nel mare dei proclami della politica strillona e nei meandri di una sanità pubblica claudicante che fatica a garantire servizi, visite e diagnosi tempestive. Le testimonianze, anche attraverso la nostra testata giornalistica, sono pane quotidiano. Macchinari rotti, sanitari allo stremo, tempi pachidermici per l’accesso alle prestazioni, reparti chiusi o posti letto carenti che costringono a ping-pong di trasferimenti da una provincia all’altra (nella migliore delle ipotesi). Dietro tutto ciò, persone sfiancate dalla malattia, che lottano per potersi curare “a casa”, senza l’urgenza di rivolgersi al privato. Senza l’esigenza di intraprendere viaggi della speranza fuori regione. Perché quello sì, è un lusso riservato a pochissimi.
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L’ultima denuncia arriva da F.C., 59 anni, di Cosenza. La sua è una storia tortuosa iniziata nel 2018 a seguito della diagnosi di tumore al seno: «Inizialmente l’iter è partito regolare tra intervento, chemio e radioterapia. Era lo stesso reparto oncologico che prenotava puntualmente le visite, ogni tre mesi, come da prassi. Tac ed ecografie avevano tempi lunghi ma comunque accettabili».
I problemi sono scoppiati con il Covid. Il periodo pandemico, soprattutto le prime fasi, è stato devastante per i malati oncologici: «Venivano garantiti solo interventi più gravi, le sedute di radio ed effusioni di chemio». Il resto, bloccato. Da quel momento in poi, i tempi si sono dilatati e poter eseguire esami, dai più semplici a quelli diagnostici, è diventato via via sempre più complicato. A partire dai posti a disposizione: «Rossano, Cetraro, Castrovillari. Mai su Cosenza, sempre in giro per la Calabria. Poi, la beffa. Non solo una giornata spesa per andare ed eseguire l’esame, ma ulteriori chilometri per poter ritirare, in giornata diversa, il referto. Perché – nell’era della tecnologia – non può essere inviato per email». Per il «paziente oncologico ci dovrebbero essere corsie preferenziali, da noi questo non esiste. Come non esiste una rete oncologica».
Per una visita dermatologica, richiamata dopo 2 anni
Anche una visita dermatologica può trasformarsi nell’ennesimo girone infernale: «Avevo un problema al naso (poi scoprii che si trattata di un carcinoma aggressivo ma per fortuna circoscritto). Era il gennaio 2022. Prenotai una visita: agosto 2022. Tempi accettabili se non fosse che pochi giorni prima, in piena estate, ricevo una chiamata dal Mariano Santo: “la visita era annullata per problemi di reparto”. Mi hanno assicurato che mi avrebbero ricontattata. Lo hanno fatto, ma solo nell’ottobre 2024». La 59enne confessa: «Mi sono tirata dietro quel problema per un anno e più. Alla fine ho fatto tutto privatamente nel 2023, e per fortuna. Perché la neoplasia era aggressiva. Se avessi atteso così a lungo probabilmente oggi non avrei neanche il naso».
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Nel ripercorrere la storia clinica di F.C., si tratteggiano i tanti “buchi” neri della sanità calabrese: «Ho una mutazione genetica che comporta alte possibilità di sviluppare recidive. Quindi nel mio caso, era indispensabile fare profilassi. Tradotto: rimozione delle ovaie e una mastectomia bilaterale con ricostruzione. Ebbene, nel 2023, dopo l’intervento al naso, prenoto una visita intramoenia. Vengo informata dei lunghi tempi di attesa, ma decido di aspettare. Qualche mese dopo, casualmente incontro il medico che mi aveva visitato e lì l’amara scoperta. La Regione Calabria non stanzia più soldi per la profilassi per persone mutate. O meglio, le stanzia per chi scopre oggi il tumore e viene operato. Ma non per chi si sottopone a intervento successivamente o come nel mio caso. Risultato? Sono stata costretta ad andare a Bergamo».
Fuori regione
«Io non capisco la logica della Regione. Non si stanziano soldi in Calabria, per poter eseguire qui l’intervento con sistema sanitario pubblico, ma a Bergamo ho potuto sottopormi all’operazione. Quel che è certo è che la Lombardia è stata pagata e chissà quanto». La permanenza fuori regione è costata a livello psico-fisico ma anche economico: «Tra viaggi, b&b e qualcosa da mangiare, se ne sono andati via circa 2mila euro. Tra le altre cose – racconta – l’intervento non è andato bene e mi sono sentita abbandonata dai sanitari. Ora dovrò sottopormi ad una nuova operazione ma per fortuna ho trovato due medici competenti e umani a Napoli».
Quando ammalarsi è un lusso
In questo percorso, s’inserisce l’urgenza di eseguire ulteriori esami diagnostici (una total body, nel caso specifico): «Giugno 2025, vado al cup di Rende. Entro 10 giorni, non c’è posto. Con l’urgenza, stessa cosa. Bene, facciamo con la ricetta “programmabile”. Prima data utile, a Rossano nel febbraio 2026. Otto mesi di attesa. Decido di passare. Così ho fatto una tac al torace privatamente pagando circa 170 euro. Una total body non me la potevo permettere, i costi si aggirano dai 600-700 euro».
Cifre a cui si sommano visite mediche e anche ecografie (dai 50 ai 70 euro in su in base al centro): «Finchè me lo posso permettere pago ma chi non può? Chi non può permettersi un intervento fuori regione cosa fa? Il tumore mi ha precluso il lavoro, mi aiuta mia madre con la pensione. Se posso fare la visita la faccio, sennò niente. Non giudico la professionalità dei medici, che si trovano ad operare davvero in condizioni difficili». L’amarezza è tanta: «Dove mette mani la politica fa danni. E le conseguenze le pagano le persone comuni. Qui ammalarsi è diventato un lusso che pochi possono permettersi. Mi chiedo: si rendono conto in che condizioni siamo?».
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Sempre più persone rinunciano alle cure, a volte anche a banali esami del sangue: «Io evito Cosenza, bisogna prenotare e i tempi sono sempre lunghi. Preferisco Paola. Ci metto di più ma funziona meglio. Ma chi non può andare lì cosa fa? Tanti pazienti non riescono a raggiungere Paola, tanti altri hanno difficoltà economiche e non hanno la possibilità di rivolgersi presso strutture private in città. A questo punto ci dicano di che morte dobbiamo morire».
Frontale, l’attacco alla politica: «Ho 59 anni, il clientelismo è sempre stato radicato in Calabria. Per fortuna, un po' di “schifo” oggi viene a galla. Grazie anche ai social. E poi abbiamo i nostri eletti, come il governatore Occhiuto che si opera in una struttura pubblica ma con equipe privata mentre io sono stata costretta ad andare a Bergamo a spendere oltre 2mila euro. Povera me, nata in una regione ultima tra le ultime». E c’è un aspetto che fa ancora più rabbia: «Mi fa paura chi dice che va tutto bene. Noi – conclude – non siamo creduti da nessuno».
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