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22/05/2025 ore 07.37
Sanità

In Italia la sanità è sempre più malata: il privato avanza e sempre più italiani rinunciano a curarsi

Nel 2024 quasi 6 milioni di cittadini non hanno potuto sostenere visite o esami specialistici. Il sistema sanitario nazionale arretra e la salute torna a essere un lusso

di Luca Falbo

Nel cuore dell’idea di Repubblica, l’articolo 32 della Costituzione proclama solennemente che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Ma nel 2024, questo principio appare sempre più lontano dalla realtà vissuta quotidianamente da milioni di cittadini. Secondo il Rapporto annuale dell’Istat, lo scorso anno il 9,9% della popolazione ha rinunciato a visite o esami specialistici, pari a quasi 6 milioni di persone, 1,4 milioni in più rispetto al 2023. Un dato che non può essere ignorato.

Le cause sono molteplici, ma convergono tutte verso una constatazione amara: il Servizio Sanitario Nazionale sta rallentando, perde efficienza, accessibilità e universalità. Liste d’attesa infinite, carenza cronica di personale sanitario, strutture pubbliche sottofinanziate e un progressivo definanziamento del settore pubblico sono diventati parte di una narrazione ormai stabile.

Mentre il Paese invecchia e la domanda di prestazioni cresce, la sanità pubblica si scopre incapace di rispondere con prontezza ed equità. I tempi di attesa per una visita cardiologica, per un’ecografia o una risonanza magnetica possono superare i sei mesi. Di fronte a simili ostacoli, la scelta è obbligata: pagare di tasca propria o rinunciare.

Negli ultimi anni, l’Italia ha assistito a una costante migrazione verso il settore privato. Ma il privato non è per tutti. Il costo medio di una visita specialistica può oscillare tra i 70 e i 150 euro, esami diagnostici complessi arrivano a costare anche diverse centinaia di euro. In un contesto in cui l’inflazione ha eroso i redditi familiari, e i salari reali stagnano, curarsi sta diventando un privilegio. Le disuguaglianze si approfondiscono, e la salute si trasforma sempre più in una merce acquistabile.

I dati Istat mostrano che la rinuncia alle cure è particolarmente alta tra i redditi medio-bassi, nelle regioni del Mezzogiorno e tra i giovani adulti, categorie già colpite da precarietà economica, disoccupazione o instabilità abitativa. Nel frattempo, le cliniche private crescono, stipulano convenzioni, assorbono personale sanitario in fuga dal pubblico e si promuovono come alternativa “rapida e sicura”. Alcune regioni, incapaci di rispondere al fabbisogno con risorse proprie, esternalizzano sempre più servizi, rafforzando un modello sanitario a doppia velocità. In cui chi ha può scegliere, e chi non ha resta in coda, o rinuncia.

Il definanziamento del SSN è stato continuo: nel 2024 la spesa sanitaria pubblica italiana è rimasta sotto la media UE, intorno al 6,6% del PIL, contro il 9,1% della Germania e l’8,5% della Francia. E se i fondi del PNRR avrebbero potuto rappresentare un’occasione storica di rilancio, le difficoltà attuative, i ritardi, e la frammentazione degli interventi ne hanno compromesso in parte l’efficacia.
Non è solo questione di numeri, ma di fiducia. La percezione diffusa è che la sanità pubblica stia arretrando, che non garantisca più il diritto alla salute in maniera eguale per tutti. Quando la risposta del sistema è troppo lenta o assente, la rinuncia diventa l’unica scelta realistica per chi non può permettersi alternative.

La sanità italiana è a un bivio: o si inverte la rotta con investimenti strutturali, assunzioni stabili, riforme coraggiose, oppure si consoliderà un modello misto dove la sanità privata integrativa diventa la norma, e quella pubblica un’ancora di salvataggio solo per i casi estremi o per i più poveri. Ma un sistema così, oltre a essere ingiusto, è anche inefficiente.
Se la salute torna a essere un privilegio, la tenuta democratica del Paese è a rischio. Perché non c’è cittadinanza piena senza il diritto alla cura, garantito e accessibile, per tutti.