L'addio dei medici cubani: quando la sanità calabrese perde i suoi eroi improvvisati
È un’emorragia che denuncia un sistema al collasso, tra concorsi deserti e sprechi. La loro partenza è un campanello d’allarme: servono riforme vere, non soluzioni temporanee. Altrimenti, i prossimi a fuggire saremo noi, in cerca di cure e di un futuro migliore
La Calabria è una regione dove gli ospedali sono come navi alla deriva, con reparti che rischiano di chiudere per mancanza di mani esperte, e dove l'unica ancora di salvezza arriva da un'isola lontana, Cuba, con i suoi medici che, per anni, hanno tenuto accese le luci dei corridoi di Polistena, Vibo Valentia e Cosenza. Eppure, oggi, come ampiamente documentato dalla LaC News24, quei camici bianchi caraibici stanno salpando via, uno dopo l'altro, lasciando la Calabria con un vuoto che brucia come una ferita aperta. È un grido di frustrazione, un segnale d'allarme che riecheggia nei corridoi affollati di pazienti e nei dibattiti accesi della politica regionale. Perché i medici cubani stanno andando via? E, soprattutto, cosa significa questo per noi calabresi, intrappolati in un sistema sanitario che sembra implodere sotto il peso di anni di commissariamenti, sprechi e promesse non mantenute?
I medici cubani continuano a fuggire dalla Calabria: anche dallo spoke Cetraro-Paola vanno via in trePartiamo dai fatti, nudi e crudi, supportati da che non lasciano spazio a interpretazioni. L'accordo siglato nel luglio 2022 tra la Regione Calabria e la Comercializadora de Servicios Médicos Cubanos (CSMC), la società statale cubana, prevedeva l'arrivo di 497 medici per colmare le gravi carenze del nostro sistema sanitario, prorogato fino al 2027 dal decreto flussi approvato in Senato a dicembre 2024.
All'epoca, era una mossa audace: la Calabria, fanalino di coda nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), con oltre 2.000 posti vacanti tra medici e infermieri – circa il 20% del fabbisogno per una popolazione sempre più anziana – aveva bisogno di un intervento d'emergenza. I cubani arrivarono a ondate: 51 nel gennaio 2023, 120 nell'agosto successivo, fino a raggiungere i 333 attivi a fine 2024, con contingenti freschi come i 66 di ottobre e i 50 previsti per marzo 2025.
Hanno tenuto aperti reparti cruciali: la rianimazione di Polistena, il pronto soccorso di Vibo Valentia, la chirurgia vascolare a Gioia Tauro. Medici e pazienti li hanno accolti come eroi – "una boccata d'ossigeno", li ha definiti il presidente Occhiuto – per la loro professionalità, l'empatia e persino per aver riparato ecografi dimenticati nei magazzini. Ma a maggio 2025, i numeri parlano chiaro: solo 370 medici cubani attivi sui 497 promessi, un calo del 25% che si sta accelerando.
Non si presenta al lavoro e con un sms annuncia che non è più in Italia, un altro medico cubano lascia la CalabriaPerché questa emorragia? I motivi sono intrecciati come la strada tortuosa di Pietrafitta, si dice dalle mie parti. Ma al centro c'è un mix esplosivo di sfruttamento economico, condizioni di lavoro precarie e il miraggio di opportunità migliori altrove. Innanzitutto, i salari: la Regione versa circa 4.700 euro lordi al mese per ciascun medico, parità con i colleghi italiani, più alloggio e rimborsi per viaggi. Ma un'inchiesta di CubaNet.org, testata indipendente cubana, rivela l'ombra di un "secondo contratto" con la CSMC: trattenute fino al 78% per il regime di Havana, lasciando ai medici solo 1.200 euro netti, con decurtazioni su straordinari e tredicesime. Non è cooperazione internazionale, è un meccanismo che profitti su corpi e menti qualificate, come denunciato da medici fuggiaschi in interviste anonime a Il Sussidiario: "L'Avana ci tiene in ostaggio con i diplomi e i familiari sorvegliati". Aggiungete i controlli capillari – movimenti monitorati, attività social scrutinate – e il terrore di essere rimpatriati come "regulados", privati di diritti e impossibilitati a emigrare di nuovo.
Poi, le condizioni sul campo: la sanità calabrese è un labirinto di ospedali obsoleti, con attrezzature obsolete (solo un terzo degli 86 milioni del CIPE spesi per rinnovarle) e turni estenuanti. Bandi per 159 posti in emergenza-urgenza? Solo 13 adesioni a gennaio 2025. I cubani, integrati e apprezzati – alcuni si sono sposati localmente – vedono nel privato o all'estero (Spagna, Francia) un'uscita di sicurezza. Casi emblematici: l'ortopedico del Jazzolino di Vibo che passa a Villa dei Gerani; un altro diretto in Spagna, fermato in aeroporto la fidanzata; tre "irreperibili" nel Cosentino, uno sposato con una collega calabrese. L'ultimo, a settembre 2025, è il dottor Robernay da Polistena: non rientra dalle ferie, lasciando un reparto già in affanno. Interrogazioni parlamentari dal PD e M5S chiedono chiarezza: quanti sono andati via? Si rivedranno i contratti? Occhiuto minimizza: "Persone libere, casi isolati su 350 presenti". Ma i comitati locali, come quello della Piana di Gioia Tauro, urlano: "Non è cooperazione, è sfruttamento di manodopera usa e getta".
Un altro medico cubano lascia la Calabria, l’addio a Polistena: «Occhiuto spieghi perché anche loro vanno via»E qui sta il dramma, questa fuga non è solo una perdita numerica, è un fallimento etico e strutturale. I medici cubani erano una toppa su una ferita profonda, non una cura. Hanno evitato chiusure, migliorato i LEA in assistenza ospedaliera (dal report Agenas 2025), ma il territorio arranca: screening oncologici insufficienti, emergenze con tempi di risposta letali – come il caso di Serafino Congi, morto per un infarto dopo tre ore d'attesa a San Giovanni in Fiore. Ogni anno, 300 milioni di euro volano fuori regione per curare i nostri malati, mentre il 20% dei ricoveri è esternalizzato. I concorsi deserti, i pensionamenti non rimpiazzati, le cooperative "a gettone" che privatizzano il pubblico: è un circolo vizioso che Occhiuto e il centrodestra non hanno spezzato in quattro anni di commissariamento. L'opposizione – M5S, PD – accusa: "Spot elettorali, non riforme". E Forza Italia replica: "Vincente, ne arriveranno altri dopo le elezioni di ottobre". Ma quanti? E a che prezzo umano?
Io, come calabrese che ha visto amici e familiari lottare per una visita medica. Quei medici cubani non erano schiavi né eroi mitici: erano professionisti che meritavano dignità, non catene invisibili. La loro partenza è un campanello d'allarme per tutti noi: basta con le toppe esotiche, vogliamo una sanità vera, con concorsi attraenti, investimenti sul territorio (PNRR incluso), e stipendi che trattengano i talenti locali invece di spingerli al Nord. Non elemosiniamo più da L'Avana; pretendiamo che la politica calabrese si svegli dal torpore. Altrimenti, i prossimi a fuggire saremo noi, in cerca di cure e di un futuro migliore. La Calabria merita di più: una rivoluzione sanitaria, non un addio amaro.
*documentarista