Liste d’attesa infinite, in Calabria un cittadino su 10 rinuncia a curarsi: la sanità pubblica non basta più
Tempi troppo lunghi e spese alte spingono migliaia di cittadini a rinunciare a visite e analisi. L’Istat fotografa un’Italia in sofferenza: 5,8 milioni di persone senza terapie nel 2024, con il Sud tra le aree più colpite
In Calabria più di un cittadino su dieci ha rinunciato nel 2024 a visite, esami o terapie, scoraggiato da liste d’attesa interminabili o dall’impossibilità di sostenere le spese del privato. Un dato che pone la regione tra quelle con la più alta percentuale di rinunce in Italia, insieme a Basilicata, Puglia, Molise e Sardegna. È l’immagine di un Paese in cui il diritto alla salute, pur formalmente universale, è diventato per milioni di persone un privilegio condizionato dal reddito o dal codice di avviamento postale.
Secondo l’Istat, nel 2024 il 9,9% degli italiani ha rinunciato a curarsi: significa 5,8 milioni di persone, un milione e trecentomila in più rispetto all’anno precedente. Nel 2023 la percentuale era al 7,5%, pari a 4,5 milioni di cittadini. Una crescita che racconta il progressivo affanno del Servizio sanitario nazionale, sempre più distante dai bisogni di una popolazione che invecchia e che avrebbe invece bisogno di un sistema pubblico efficiente e capillare.
Le cause: liste d’attesa e disuguaglianze economiche
Il 6,8% degli italiani, sottolinea l’Istat, ha indicato nelle liste d’attesa la causa principale della rinuncia alle cure. Ma a pesare è anche la crescente spesa sanitaria privata, che nel 2024 ha raggiunto 41,3 miliardi di euro, contro i 137,5 miliardi finanziati dal settore pubblico. L’ultimo segmento – 6,4 miliardi – è coperto dalle assicurazioni. Nonostante le promesse di rafforzamento del sistema pubblico, la quota di spesa sanitaria sul Pil è destinata a calare: dal 6,3% del 2024 al 6% nel 2028, secondo le stime del Cnel. In termini assoluti cresceranno i fondi, ma meno dell’economia complessiva, segnando un definanziamento strutturale.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ricordato che il livello del finanziamento statale salirà a 142,9 miliardi nel 2026 e a quasi 145 miliardi nel 2028, ma per la Corte dei Conti queste risorse copriranno “solo parzialmente” i costi crescenti del settore, tra personale, farmaci e dispositivi medici. «L’aumento delle risorse – scrive la Corte – risponde solo in parte alle criticità del comparto, aggravate da una popolazione sempre più anziana».
Sanità a due velocità: il divario tra Nord e Sud
I dati territoriali tracciano un’Italia a più velocità. Le regioni del Nord – come Veneto, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia – restano sotto la media nazionale. Al Centro e al Sud, invece, le percentuali schizzano in alto: Sardegna al 17,2%, Abruzzo al 12,6%, Umbria al 12,2%, Lazio al 12%. Sopra la soglia del 10% si collocano anche Basilicata, Puglia, Calabria, Molise e Marche. Sorprendentemente, anche regioni ricche come la Lombardia (10,3%) e la Liguria (10,1%) superano la media nazionale, segno che la crisi dell’accesso alle cure è ormai un fenomeno diffuso.
«Non sorprende che le liste d’attesa rappresentino una delle ragioni dell’incremento delle persone che non si curano», osserva Valeria Fava, responsabile Salute di Cittadinanzattiva. «La carenza di personale è cruciale, ma conta anche la gestione dell’accesso alle prestazioni. Alcune Regioni non hanno ancora applicato le norme sul divieto di blocco delle liste e sull’integrazione con le strutture private convenzionate».
Medici anziani e giovani che fuggono
Sul fronte del personale sanitario, l’allarme è generale. L’Italia è il Paese dell’Unione europea con la quota più alta di medici over 55: il 44,2%, e uno su cinque ha più di 65 anni. In dieci anni i medici di base sono diminuiti di oltre 7.200 unità: oggi sono 37.983, lo 0,64 ogni mille residenti, e il 60% ha almeno 60 anni. Un medico su due segue più di 1.500 pazienti, oltre il limite massimo previsto. Anche gli infermieri scarseggiano: 405mila in tutta Italia, 6,9 ogni mille abitanti, contro una media europea di 8,3. Uno su quattro ha più di 55 anni.
«A fronte dell’aumento della domanda di cure dovuto all’invecchiamento della popolazione – spiega l’Istat – l’Italia si distingue per uno scarso ricambio generazionale del personale medico e per una dotazione insufficiente di infermieri».
Il rischio: spostare fondi dal pubblico al privato
Tra le misure del Ministero della Salute figura l’obbligo per le Regioni di garantire le prestazioni nei tempi previsti, anche acquistandole dal privato convenzionato. Ma per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, la soluzione rischia di trasformarsi in un boomerang: «Il meccanismo può sembrare una tutela per i cittadini, ma in realtà rappresenta un rischio per la tenuta del sistema pubblico. Delegare sistematicamente al privato le prestazioni inevase significa spostare fondi dal pubblico al privato, aumentando la spesa complessiva e riducendo la capacità produttiva interna».
Il rischio è che la sanità pubblica perda progressivamente terreno, diventando un sistema residuale per chi non può permettersi altro. «Finché non si ripristinerà l’attrattività della sanità pubblica – aggiunge Cartabellotta – con retribuzioni adeguate, condizioni di lavoro sostenibili e percorsi di carriera chiari, il privato continuerà ad assorbire la domanda inevasa».
Un sistema da rifondare
Le differenze regionali nei metodi di raccolta dei dati, denunciano sia Gimbe che Cittadinanzattiva, impediscono al Ministero di avere un quadro reale. In alcune Regioni una colonscopia richiede più di 150 giorni, oltre il doppio dei tempi massimi previsti. Finché non sarà introdotto un sistema digitale unico di monitoraggio, avverte Cartabellotta, “continueremo a discutere di cifre che non fotografano la realtà”.
Nel frattempo, in Calabria e nel resto del Mezzogiorno, l’universalità del diritto alla salute è ormai un principio sempre più teorico. Dietro le percentuali dell’Istat ci sono persone che rinunciano a una diagnosi precoce, a un controllo cardiologico, a un intervento che potrebbe salvare la vita. E in un Paese che invecchia e si impoverisce, il dato più preoccupante è che a curarsi riesce solo chi può permetterselo.