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22/05/2025 ore 18.54
Sport

Bruno Trocini l’allenatore passionale che ha rilanciato la Reggina: «Grato alla città, noi siamo pronti per i professionisti…»

Mister in campo e fuori, dedica questa stagione alla famiglia: «Sono diventati i primi tifosi amaranto». Il rapporto con la società e il rinnovo: «Siamo tutti d'accordo… poi bisogna sedersi e parlare di tante cose»

di Claudio Labate
Bruno Trocini copertina A tu per tu

È Bruno Trocini, allenatore della Reggina, l’ospite del format “A tu per tu” de ilreggino.it. Reduce dalla vittoria dei play-off dopo una cavalcata spettacolare fatta da più di venti vittorie è lecito aspettarsi di vederlo ancora seduto sulla panchina della Reggina.

Avete già parlato con la società, e soprattutto è quello che vuole anche lei e con quali garanzie, se ne porrà?
«No, no, nessuna condizione particolare, ci siamo presi un po' tutti qualche giorno di riposo perché è stata veramente una stagione lunga e complicata. C'è la volontà da parte mia e del club di andare avanti; poi ovviamente quando sarà il momento giusto, non lo so nello specifico, comunque tra qualche giorno, ci siederemo e parleremo di di un po' di cose». 

Questo, indipendentemente dall'immediato futuro?
«Adesso la cosa che più interessa è la Reggina e quindi capire se ci sono possibilità di ripescaggio. Io me lo auguro, anzi io sono veramente molto fiducioso in questo senso. Secondo me tutte le altre cose possono anche venire dopo».

In coda a questa stagione resta ancora da capire la questione ripescaggi a cui è legato il nostro destino… che idea si è fatta? Non le resta l’amaro in bocca per come è andata? Come legge questa situazione?
«Male, è una cosa che ovviamente brucia, che fa male, che ci ha portato a compiere una stagione veramente ricca, molto ricca dal punto di vista dei risultati, perché almeno nella mia gestione si sono ottenute tante vittorie consecutive e numeri importanti. Però poi alla fine non si è verificato quello che tutti auspicavamo, quindi è stata – anche in questo senso – una stagione strana, nella quale non si è mai riusciti a esultare, a festeggiare, a riscuotere, a mio avviso, anche i giusti meriti per lo sforzo che hanno prodotto tutte le componenti, e questo ci ha lasciato un po' di amaro in bocca».

Mister, quella che ha preso in corsa non è una squadra costruita con gli uomini da lei richiesti, eppure i risultati sono arrivati.
«L'obiettivo non era minimo, nella mia testa ed in quella di tutti ce n’era uno solo ed era quello di arrivare primi. Ho accettato perché ci credevo ciecamente e il risultato lo testimonia, perché poi alla fine abbiamo ottenuto 21 vittorie su 25 partite. È davvero strano da raccontare: un un ciclo di risultati così importante e così lungo non ha condotto alla vittoria finale. Quindi sì, assolutamente ci credevo, ci credevamo tutti, ed anche se non avevo costruito la squadra c'erano diversi ragazzi che avevo allenato fino a pochi mesi prima, mentre altri li conoscevo comunque, o di nome o qualcuno l'avevo anche allenato. Insomma in questo senso per me è stato più facile».

Quindi squadra costruita bene o il manico ha avuto il suo merito?
«Secondo me serve un po' di tutto, sarò anche scontato e banale in questo. Il merito di quello che abbiamo fatto che non è mai abbastanza in una città come Reggio, in cui le aspettative sono altissime, non può che essere suddiviso tra tutte le componenti. In primis i giocatori, perché mi offerto la loro grandissima disponibilità; un gruppo di ragazzi per bene, seri, attaccati alla maglia, all'ambiente, che tenevano a questo risultato più di ogni altra cosa, che hanno posto il risultato di squadra davanti a ogni singola ambizione, ed è un fattore, questo, molto raro in uno spogliatoio. Quando un allenatore riesce ad avere un gruppo che ha questa capacità, cioè quella di mettere la squadra davanti a sé stessi, il più è fatto. Poi ovviamente quando ci si accorge, e la città se n'è accorta immediatamente della voglia, della passione, della serietà di questo gruppo, tutto diventa più semplice. La società ha fatto veramente il massimo, e quindi un po' tutto ha funzionato».

In questi due anni la piazza, l'ambiente, hanno imparato a conoscere i vari Ballarino, Bonanno, lo stesso Praticò, mentre lei invece la società la conosceva già. Che rapporti ha instaurato con loro, al suo ritorno, e in che modo lei ha potuto incidere sulla stagione?
«In realtà io la società non la conoscevo, l'ho conosciuta l'anno scorso, un po' come tutti quanti. Non conoscevo la proprietà, non conoscevo il direttore, conoscevo il direttore generale Praticò perché c'eravamo incontrati qualche volta, magari in qualche trasmissione o in qualche evento sportivo. In generale conoscevo Bonanno perché l’ho affrontato qualche volta, quando lui era direttore a Catania, ma solo di nome, non di persona. Non conoscevo Ballarino… ed è stata una scoperta, diciamo, con pro e contro, perché ovviamente i risultati di questa “seconda” mia esperienza sono molto, molto migliori rispetto alla prima. Perché la conoscenza fa la differenza, secondo me. Quando si inizia a capire quali possano essere i punti di vista di uno piuttosto che di un altro, quando si inizia a comprendere che le cose vanno costruite insieme, la conoscenza fa la differenza. In questo senso io ho avuto un rapporto sempre schietto, probabilmente anche troppo con la società: loro lo hanno apprezzato e io ho apprezzato anche loro nel tempo, perché poi capisci che una proprietà è quella che investe risorse e quindi ovviamente ha una visione e ha un punto di vista differente dal mio, che è quello solo di campo. Ciò che mi interessa è che i ragazzi stiano bene, che si allenino bene, che funzioni tutto, mentre loro hanno anche tante altre cose da portare avanti, tante altre responsabilità. Però, ripeto, con il tempo, la conoscenza e il rispetto, soprattutto, si riesce sempre a costruire qualcosa di buono».

Insomma, tornando all'inizio sembra ci siano tutti i presupposti per vederla seduto sulla panchina del Granillo, dalla parte giusta? I tifosi questo vogliono sapere…
«Sì direttore, anch’io voglio rimanere. La società vuole che rimanga, io lo stesso, siamo tutti d'accordo… poi però bisogna sedersi e parlare di tante cose, perché noi siamo sempre figli dei risultati, quindi io che in alcuni aspetti del mio lavoro sono ossessivo, e considero alcune cose molto importanti, vorrei che lo siano anche per la società. E quando tutto coincide non c'è nessun motivo al mondo per non andare avanti insieme».

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