Dal “Guagliò” dello spot “mondiale” al gol di Retegui: come il temperamento calabrese di Gattuso plasma la Nazionale
Deciso, caparbio, testa dura: il ct si trascina dietro questi segni inconfondibili della sua provenienza. E così imprime una nuova pedagogia di gioco fatta di impegno, semplicità e determinazione
A distanza ormai di qualche giorno dalla quarta vittoria conseguita dalla nazionale italiana di calcio guidata da Gennaro Gattuso, due parole sul nuovo allenatore.
Con una premessa d’obbligo. Com’è noto, quel ruolo doveva essere ricoperto da Claudio Ranieri, il quale ha guidato tante squadre importanti, ma che è entrato nel mito con la straordinaria vittoria del Leicester nel campionato inglese di anni fa. Ranieri per sfuggire ad una condizione di ambiguità - era già, sia pure con un ruolo diverso da quello di allenatore, contrattualmente impegnato con la sua Roma – rifiutò a malincuore la proposta della Figc. D’altra parte il personaggio ha sempre accoppiato alla bravura del tecnico la nitidezza del comportamento.
Torniamo a Gattuso. È un calabrese, una postura che si coglie a distanza, dall’aspetto fisico al temperamento. Deciso, caparbio, testa dura. Fin dalle prime partite, ha inteso instillare nella nazionale alcune sue doti naturali. Una su tutte la capacità di lotta. Non voglio introdurre nel calcio elementi che fanno parte della complessa antropologia di un territorio difficile. Penso però non faccia male ricordare velocemente che l’intera storia calabrese si è rispecchiata per secoli in uno scenario di lotta permanente. Due componenti le hanno attribuito una sua unicità. L’isolamento che nessun territorio italiano, (neanche le due grandi isole, Sardegna e Sicilia) ha in passato patito nella stessa misura della Calabria e l’ostilità di una natura bellissima e insieme violenta.
Museo del Calcio, Gattuso promette: «Vi porterò le scarpette del Mondiale, vado in Calabria a prenderle»Gattuso sia come calciatore che come allenatore si è trascinato dietro questi segni inconfondibili della sua provenienza. Non so come finirà l’avventura della nazionale italiana ma si vede ad occhio nudo che tutti i calciatori scendono in campo esibendo questa voglia di battersi su ogni pallone, trasfusa dalla loro guida. Voglio ricordare, a tale proposito, un recente gesto calcistico che non si vede spesso sui campi di calcio. È accaduto nel corso dell’ultima partita della nazionale giocata a Udine contro Israele. Un gesto che, oltre a essere di non comune qualità tecnica, è sembrato emblematico di una nuova pedagogia presente sul terreno di gioco. Mi riferisco al secondo gol segnato da Retegui. Il quale, in un punto delicato della partita, tenta fuori dall’area di rigore della squadra avversaria un tackle un po’ disperato con un giocatore di Israele che si trova in possesso del pallone. Il giocatore azzurro riesce con caparbietà a sottrargli la sfera, a fare un passo in avanti e piazzare quel pallone, come si dice, a giro all’incrocio del palo sinistro. Calcisticamente una delizia. In quella prodezza si rispecchia un po’ l’indole del suo allenatore. Non certo nell’esecuzione del gol – Gattuso, quei gol, da giocatore se li sognava – mac’è in larga misura nell’esecuzione ostinata del tackle vincente. Da ragazzo ho praticato questo sport anch’io e so che un gol così vale oro, specie nel calcio del nostro tempo in cui la trama offensiva appare così intessuta da una ragnatela interminabile di passaggi laterali da venire talvolta a noia. Qualche allenatore un po’ sofisticato la definisce l’aggressione dello spazio. Resta un fatto. Rubare il pallone a un avversario e segnare un gol rappresenta la semplificazione, di gran lunga la più alta, che un giocatore possa offrire alla sua squadra.
Voglio a questo punto aggiungere un ricordo personale a questo articolo su Rino Gattuso. Nel 2006 da presidente della Regione, avendo trattenuto per me la sola delega dei fondi europei, ero riuscito ad ottenere dall’Europa alcuni finanziamenti finalizzati a favorire sul piano turistico la Calabria. Insieme con la giunta decidemmo di compiere due investimenti. Uno sulla nazionale di calcio che quell’anno disputava in Germania il campionato del mondo, e uno sulla figura di Gattuso che faceva parte da titolare della nazionale. La squadra era partita senza grandi pretese per cui inserire negli stadi tedeschi il ricordo della Calabria, non costava una cifra proibitiva. Per una volta fummo fortunati perché la nazionale vinse a Berlino ai rigori in un’indimenticabile finale il campionato del mondo.
Gattuso, oltre a disputare tutte le partite ad alto livello, realizzò sulla regione un gradevole spot. Esordendo con un intimistico “Guagliò”, fece cenno alla Calabria, alla sua storia, ai popoli che l’avevano nei secoli attraversata e infine alla sua struggente bellezza. Una sequenza emotivamente coinvolgente. Qualcuno di sicuro la ricorda. Non la faccio lunga. Il bello capitò alla fine. Quando l’Europa si permise di saldare, attraverso la Regione, l’esibizione pubblicitaria, Gattuso si offese a morte, fece quella faccia feroce che talvolta esibisce ai bordi del campo quando la partita non gira nel verso giusto. Come si permetteva l’Europa di saldare una prestazione che lui aveva offerto, solo con il cuore, alla sua Calabria?