Il vero sconfitto alle elezioni regionali in Calabria: la democrazia dell'astensione
La vittoria di Occhiuto è netta, ma chi ha perso tenta di mitigare il risultato. Il vero dato? L'astensionismo: sei calabresi su dieci hanno disertato rivelando una profonda crisi di rappresentanza
Oramai è storia, le recenti elezioni regionali in Calabria hanno riconfermato il presidente uscente del centrodestra, Roberto Occhiuto, con un ampio e inequivocabile margine sul campo largo di centrosinistra. La notizia non è più tale, anzi stancamente “tortura” gli avventori di notizie. Sebbene il risultato numerico sia netto, nel dibattito politico post-voto la distinzione tra vincitori e vinti sembra, come di consueto, svanire nel fumo delle giustificazioni. È qui che la politica calabrese svela la sua fragilità più grande. Attraverso una sottile arte, quella della mitigazione, nonostante una sconfitta netta, con un divario di oltre 15 punti percentuali tra i candidati (Occhiuto ha superato il 57% contro il 41% dello sfidante Tridico, riferendosi alle consultazioni del 2025), gli sconfitti dimostrano una sorprendente abilità nel trovare appigli per mitigare il risultato. Torna con prepotenza il collaudato e classico repertorio: il risultato è "incoraggiante" perché si è "ricostruito il campo", la percentuale è "in crescita" rispetto a consultazioni precedenti, oppure si punta il dito contro ipotetiche "macchine del fango" o "poteri forti" che avrebbero alterato il voto. Ogni appiglio, anche il più sottile, viene sfruttato per negare la severità del giudizio popolare.
Questo atteggiamento di "negazione della sconfitta", che spesso sfocia nell'offesa all'intelligenza di chi osserva (e soprattutto di chi ha votato o non ha votato) è un veleno potente per il sistema democratico. Peccato però, dispiace che nessuno (o quasi) si conceda due minuti per analizzare il vero dato, quello incontrovertibile, che dovrebbe azzerare ogni autoassoluzione: l’affluenza ai seggi, attestata intorno al 43,14% (lievemente in calo rispetto al 2021), praticamente dimostra che quasi sei calabresi su dieci hanno scelto di non esprimersi, una scelta per affermare quel male che si chiama “crisi di rappresentanza”. La costante tendenza dei politici, vincitori e in particolare vinti, a non riconoscere i propri errori, a distorcere i numeri e a non fornire mai una lettura onesta e autocritica della realtà, accentua l’apatia e la sfiducia. L'elettore che osserva i politici sconfitti ignorare platealmente la volontà espressa o l'assenza di partecipazione, trova la conferma che il suo voto (o la sua astensione) è ininfluente, che la classe dirigente è autoreferenziale e impermeabile al giudizio. L'astensionismo in Calabria probabilmente non è solo disinteresse ma potrebbe essere tradotto in un messaggio di riluttanza radicale verso ogni rappresentanza politica, frutto diretto della delusione e della percezione che i problemi reali (sanità, lavoro, servizi) non solo non vengano risolti ma non vengano neanche onestamente discussi dopo un verdetto elettorale. Solo un'azione politica seria, capace di accettare le critiche e di dialogare onestamente con i cittadini, potrà sconfiggere la vera "maggioranza" calabrese, quella degli astenuti.